20175 Coalizioni per il Cambiamento Discorso al Consiglio dei Governatori James D. Wolfensohn Presidente Gruppo della Banca Mondiale Washington, D.C., 28 settembre 1999 Benvenuti all'assemblea annuale del gruppo della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale. Vorrei esprimere il mio compiacimento al Presidente dell'assemblea, Mahesh Acharya, la cui opera in Nepal mostra una profonda comprensione di molte delle questioni che vorrei affrontare oggi, e al mio collega ed amico, Michael Camdessus, a cui sono legato da uno strettissimo rapporto di collaborazione. Inoltre, vorrei rendere omaggio all'ottima équipe di cui è a capo. Signor Presidente, ho avuto il privilegio di pronunciare un discorso dinanzi a Lei in quattro precedenti occasioni. Nel 1995, ho parlato delle sfide poste dalla questione dello sviluppo, della necessità di provvedere istruzione alle bambine e di affrontare l'oneroso problema del debito. Avevo sottolineato la necessità di riorganizzare la Banca al suo interno e di stimolare con vigore la collaborazione con le altre istituzioni all'esterno. Mi riferisco a partnership sia con altre istituzioni di assistenza e di sviluppo, che con la società civile e con il settore privato, allo scopo di prestare ascolto e collaborare più strettamente con i governi e con i popoli dei paesi in cui operiamo. Nel 1996, ho messo in evidenza il nostro ruolo come Banca della Conoscenza. Ho inoltre parlato del "cancro della corruzione". La Banca si è impegnata ad unirsi ai governi nella lotta alla corruzione ovunque venga alla luce quando essi esprimano preoccupazione in merito. E, da allora, abbiamo portato avanti questo programma con vigore. Più tardi, quello stesso anno, con i nostri partner al Fondo Monetario Internazionale, abbiamo formulato il nostro approccio al condono del debito per i paesi più poveri fortemente indebitati (Heavily Indebted Poor Countries, HIPC). L'iniziativa ha avuto un enorme impatto e nel corso delle riunioni, a seguito dei cambiamenti proposti al vertice di Colonia, sono stati fatti ulteriori progressi. Nel 1997, ho parlato della "Sfida dell'Integrazione", cioè della necessità di considerare lo sviluppo in termini umani e portare i più deboli e vulnerabili dai margini della società al centro della scena. Un anno fa, mentre i nostri pensieri erano dominati dalla crisi finanziaria in Asia, ho parlato dell'"Altra Crisi", la crisi umana, sia di quelli condannati alla miseria che di quelli che avevano trovato la speranza e che hanno visto come essa sia stata loro bruscamente tolta. Ho parlato del ruolo speciale che ha la nostra istituzione nel processo volto ad attenuare l'impatto della crisi sui popoli e dell'urgente necessità di mirare al di là delle soluzioni meramente finanziarie, per considerare la dimensione sociale e strutturale assieme a quella macroeconomica. Signor Presidente, oggi, un anno dopo, siamo tentati di rilassarci all'idea che la crisi finanziaria sia passata - anche se, per milioni di persone, l' "altra crisi" di cui ho parlato dura ancora. Sarebbe facile cedere alla tentazione di posporre le necessarie riforme - sebbene, per milioni di persone, queste riforme siano ancora di importanza cruciale. Sarebbe facile cedere alla tentazione di dire che la tempesta è passata - sebbene per milioni di poveri e di disoccupati il porto sia ancora ben lontano dall'essere in vista. Ci riuniamo oggi alle soglie del nuovo millennio. Dobbiamo fare un'inventario e porci alcune domande fondamentali. Saremo capaci di cogliere quest'occasione per sollevare lo sguardo verso un mondo migliore? Saremo capaci di giudicare i nostri sforzi non dalla prosperità di alcuni ma dal bisogno della maggioranza? Saremo preparati a renderci responsabili per fare lo sforzo necessario a provocare un cambiamento? Qual'è il mondo che vediamo nel duemila? È un mondo dove, negli ultimi 40 anni l'aspettativa di vita è salita più che negli ultimi 4000 anni. È un mondo in cui la rivoluzione delle comunicazioni mantiene la promessa di un accesso universale alla conoscenza. È un mondo in cui la cultura democratica ha aperto le porte dell'opportunità a molti. È un mondo in cui 5,7 miliardi di persone vivono in un'economia di mercato, rispetto ai 2,9 miliardi di appena 20 anni fa. Ma, guardate più da vicino e vedrete qualcos'altro. Redditi pro capite che quest'anno saranno stagnanti o in declino per tutte le regioni, eccetto il sud e l'est asiatico. Oggi, nel mondo in via di sviluppo, con l'eccezione della Cina, le persone che vivono nella miseria sono aumentate di 100 milioni rispetto a un decennio fa. Almeno in 10 paesi dell'Africa, il flagello dell'AIDS ha ridotto l'apettativa di vita di 17 anni. Nel mondo abbiamo più di 33 milioni di casi di AIDS, di cui 22 milioni nella sola Africa. Ancora oggi, 1,5 miliardi di persone non hanno accesso all'acqua potabile e 2,4 milioni di bambini muoiono ogno giorno di malattie dovute all'inquinamento dell'acqua. Ancora oggi, 125 milioni di bambini non hanno accesso alla scuola elementare, 1,8 milioni di persone all'anno muoiono a causa dell'inquinamento dell'aria negli ambienti chiusi. È un mondo in cui il divario dell'accesso all'informazione si allarga sempre di più. Nel frattempo le foreste vengono distrutte al tasso di un acro al secondo. Signor Presidente, il quadro presenta effettivamente grandi contrasti e considerevoli sfide. Ma noi siamo arrivati ad un momento della nostra storia in cui abbiamo la possibilità di tracciare una nuova strada che porti ad un mondo più pacifico, più equo e più sicuro. E' il momento non solo di guardare cosa avviene intorno a noi, ma di agire. L'anno scorso i miei colleghi ed io avevamo deciso che, per segnare il corso del futuro, dovevamo conoscere meglio i nostri clienti come individui. Abbiamo allora lanciato uno studio dal titolo "Voci dei Poveri" e abbiamo parlato loro delle loro speranze, delle loro aspirazioni, delle loro realtà. Le équipes della Banca Mondiale e delle Organizzazioni non governative (ONG) hanno raccolto le voci di 60 mila uomini e donne in 60 paesi. Permettetemi di comunicarvi i nostri risultati. La miseria non è solo una questione di reddito. È molto di più. Il povero cerca un senso di benessere che consiste nella tranquillità dell'anima, nella buona salute, nell'appartenenza ad una comunità e nella sicurezza. Si tratta tanto di scelta e di libertà quanto di una regolare fonte di reddito. Il benessere implica nuove opportunità economiche, qualcosa che il povero sente di avere la possibilità di cogliere meno facilmente rispetto ad un decennio fa. Il benessere è sicurezza personale. Oggi, per far quadrare il bilancio, un numero crescente di donne lavora fuori dell'ambiente familiare. Ma l'ineguaglianza dei sessi continua nelle famiglie e la violenza domestica è in aumento. La corruzione è un fatto di tutti i giorni per i poveri che cercano di accedere ai servizi pubblici e di guadagnarsi la vita. Che cosa rispondono i poveri, signor Presidente, quando viene loro chiesto che cosa apporterebbe la più grande differenza nella loro vita? Rispondono: organizzazioni gestite da loro in maniera da poter negoziare con il governo, con i commercianti e con le Organizzazioni non governative (ONG); programmi di assistenza diretta nell'ambito della comunità, in modo da poter forgiare il proprio destino; il controllo dei fondi a livello locale per porre fine alla corruzione. Essi vogliono che le ONG ed i governi siano tenuti a rendere loro conto delle proprie azioni. Permettetemi di condividere con voi il loro mondo nelle loro stesse parole. Un'anziana in Africa: "Una vita migliore per me vuol dire essere sana, tranquilla, vivere circondata d' affetto e non soffrire la fame". Un uomo di mezza età in Europa dell'est: "Star bene è sapere che cosa mi succederà domani". Un giovane in Medio Oriente: "Nessuno può essere il portaparola dei nostri problemi. Chi ci rappresenta? Nessuno". Una donna in America latina: "Non so di chi fidarmi, se della polizia o dei criminali. La nostra pubblica sicurezza siamo noi. Lavoriamo e ci nascondiamo dentro le case". Una madre in Asia meridionale: "Quando il mio bambino mi chiede qualcosa da mangiare, gli dico che il riso sta cuocendo, fino a quando si addormenta dalla fame, perché il riso non c'è". Queste sono voci forti, voci che vibrano di dignità. Molte rappresentano la voce di una nuova generazione che cerca il controllo della propria vita. Queste persone rappresentano una nostra ricchezza, non un oggetto di carità! Se viene data loro opportunità e speranza, queste persone sono capaci di forgiare il loro futuro. Sono voci che parlano del diritto alla sicurezza, ad una vita migliore per i loro figli, alla libertà dall'ansia e dalla paura. Mentre stiamo comodamente seduti qui a Washington, dobbiamo prestar orecchio alle loro aspirazioni: esse non sono diverse dalle nostre. No, la crisi non è finita, signor Presidente. Anzi, la sfida è appena cominciata. Il mese prossimo la popolazione globale raggiungerà i 6 miliardi di individui. Se continuiamo di questo passo, non riusciremo a raggiungere gli Obiettivi Internazionali di Sviluppo condivisi dalle NU, cioè di dimezzare la povertà entro l'anno 2015, né quello di un'istruzione elementare per tutti, a livello universale, entro l'anno 2015. Se continuiamo di questo passo, non riusciremo a raggiungere raggiungere l'obiettivo condiviso a livello internazionale di invertire la tendenza al degrado dell'ambiente sia a livello nazionale che a livello mondiale entro il 2015. Nell'arco di 25 anni, i 6 miliardi di persone che vivono sul nostro pianeta saranno diventati 8 miliardi. Dei 6 miliardi odierni, 3 miliardi di persone vivono con meno di due dollari al giorno e 1,3 miliardi vivono con meno di un dollaro al giorno. Queste cifre straordinarie potrebbero aumentare rispettivamente a 4 miliardi e a 1,8 miliardi. Questa non è l'eredità che vogliamo lasciare ai nostri figli. Il numero dei conflitti sarà maggiore, la qualità del nostro ambiente peggiore e il divario tra i ricchi ed i poveri più ampio. I poveri parleranno con voce più forte, ma che li ascolterà? Signor Presidente, che cosa abbiamo imparato sulla questione dello sviluppo? Abbiamo imparato che lo sviluppo è possibile ma non inevitabile. La crescita è necessaria, ma non è sufficiente ad assicurare la riduzione della povertà. Abbiamo imparato che dobbiamo mettere la questione della povertà in primo piano. Abbiamo imparato che dobbiamo far sì che l'aspetto sociale e strutturale vada di pari passo con quello macroeconomico e finanziario. Abbiamo imparato, signor Presidente, che affinché lo sviluppo sia efficace, deve esistere un senso di proprietà e di partecipazione a livello locale. Sono passati i tempi quando lo sviluppo si decideva a porte chiuse a Washington o nelle capitali del mondo occidentale o in qualsiasi capitale del mondo. Recentemente a Stoccolma, dove ci siamo riuniti per valutare i progressi del Comprehensive Development Framework (Programma per uno Sviluppo Integrato), il presidente della Tanzania, Mkapa, ha detto: "Avere il senso di proprietà dei programmi per lo sviluppo non è solo un comprensibile desiderio nazionalista, un diritto naturale e sovrano, ma esso crea anche le predisposizioni e le condizioni più favorevoli per lavorare tenacemente e per svilupparsi autonomamente, sia a livello nazionale che a livello locale". "Il nostro popolo deve essere incoraggiato ed aiutato" , ha detto "affinché diventi, proprietario del proprio sviluppo: non solo il beneficiario, ma l'autore del proprio sviluppo." Dobbiamo prestare ascolto a questo grido quando tracceremo il nostro programma di sviluppo negli anni a venire. E dobbiamo andare oltre. Dobbiamo riconoscere il nostro ruolo che consiste nell'aiutare, non nel frenare, questi autori dello sviluppo coordinando meglio le nostre attività. È una vergogna che la Tanzania debba presentare 2400 relazioni trimestrali all'anno ai donatori. È una vergogna che la Tanzania debba tollerare l'arrivo di mille missioni all'anno da parte dei donatori. E la Tanzania non è il solo. Allora, come procedere? Signor Presidente, è stato riconoscendo l'esigenza di coordinare meglio i nostri sforzi, riconoscendo la natura olistica dello sviluppo e riconoscendo la necessità di mettere il paese beneficiario al "posto di guida" che quest'anno abbiamo lanciato il Comprehensive Development Framework. Il nostro scopo era semplice: unire l'aspetto sociale e strutturale a quello macroeconomico e finanziario, in modo da creare un approccio molto più equilibrato ed efficace. Fare intervenire tutti gli autori per dare più peso all'insieme delle nostre attività. Lavorare con i diversi attori della comunità dello sviluppo - le Nazioni Unite, l'Unione Europea, gli organismi bilaterali, le banche regionali di sviluppo, la società civile ed il settore privato, per formare una nuova generazione di partnership genuina. Quali sono stati i risultati finora conseguiti? Insieme ai nostri partner, il CDF (Comprehensive Development Framework) viene ora introdotto come progetto pilota in 13 paesi. Stiamo imparando a collaborare più ampiamente ed a coordinare meglio il nostro lavoro a livello locale. Dopo aver discusso con molti ministri, credo che l'approccio del CDF goda ora di un'ampio appoggio. Non come un piano rigidamente stabilito e programmato, signor Presidente, ma come un procedimento attraveso il quale si cerca di conseguire uno sviluppo a lungo termine, guidato dai risultati, ponendo i paesi beneficiari in una posizione di controllo e di collaborazione con tutti gli attori della comunità dello sviluppo. Fra poco il Comitato di assistenza allo sviluppo dell'Organizzazione per la Coperazione e lo Siluppo Eonomico presenterà il suo resoconto, dopo aver riveduto le iniziative bilaterali e multilaterali che agiscono secondo principi simili a quelli del CDF. Questo vuol dire che l'esigenza di una partnership e di uno sforzo più mirato è stata ampiamente riconosciuta ed accettata. Con il Fondo Monetario Internazionale abbiamo raggiunto un accordo storico per una comune Strategia per la Riduzione della Povertà messa a punto con i governi dei paesi beneficiari. Adotteremo un approccio equilibrato che riunisca i parametri macroeconomici e finanziari con l'aspetto umano, strutturale e sociale, in un documento che servirà da guida ai programmi di ciascuna istituzione. Signor Presidente, credo che nel corso degli ultimi dodici mesi abbiamo appreso anche qualcos'altro. Abbiamo appreso che la causa delle crisi finaziarie e della povertà è una e la stessa. Un paese può escogitare una solida politica fiscale e monetaria, ma, se non ha un buon sistema di governo, se non affronta la questione della corruzione, se non gode di tutto un sistema legale che protegga i diritti umani, i diritti sulla proprietà e i diritti contrattuali, che conferisca una struttura alle leggi sulla bancarotta ed un sistema fiscale prevedibile, se non si serve di un sistema finanziario aperto ed organizzato, di regolamenti idonei e non adotta un comportamento trasparente, il suo sviluppo è pericolante e non potrà durare. A cosa serve il codice legale, se i giudici sono corrotti, se le classi più povere e più vulnerabili si aspettano dalla polizia solo brutalità? A cosa serve la protezione costituzionale, se la donna deve affrontare la discriminazione nel mercato del lavoro e la violenza in casa? A cosa serve un investitore straniero, se non ci sono standard di contabilità e trasparenza, se non ci sono né leggi contrattuali né un sistema fiscale equo e prevedibile? A cosa serve la privatizzazione se non ci sono ammortizzatori sociali per supplire al problema della disoccupazione e se non ci sono regolamenti per proteggere il pubblico dal monopolio privato? Le carenze del programma di sviluppo istituzionale e del governo ed una mancanza di personale equamente e adeguatamente remunerato hanno un effetto distruttivo sull'elaborazione delle politiche, sulla prestazione dei servizi, e sul senso di responsabilità. Signor Presidente, l'esperienza e i nostri programmi pilota nell'ambito del CDF ci hanno insegnato che il rafforzamento dell'organizzazione, del potenziale umano e della struttura statale, sia a livello centrale che locale, costituisce la priorità assoluta nella lotta alla povertà che stiamo conducendo. Abbiamo appreso che nel fissare la tabella di marcia del CDF dobbiamo dare la massima importanza al rafforzamento della struttura governativa e allo sviluppo delle capacità a livello di governo e nella società civile. Tale decisione ha trovato conferma in un sondaggio condotto di recente dall'UNDP tra 150 coordinatori in loco. Oltre la metà di essi annette massima importanza alla necessità di rafforzare il governo e di sviluppare la capacità istituzionale. Ciò è confermato inoltre da un recente sondaggio su oltre 3600 società private operanti in 69 paesi, che hanno constatato la necessità di creare istituzioni e sistemi di regole forti. Ed è confermato dalle consultazioni con i paesi poveri, i cui rappresentanti ci hanno continuato a ripetere come un ritornello: troppa corruzione, troppa violenza, troppa impotenza e debolezza. Essi desiderano ardentemente un sistema che dia loro uguaglianza e voce per esprimersi. E se non possono ottenere ciò attraverso le urne o attraverso il governo, essi lo vogliono attraverso un'organizzazione informale esterna al governo. Cosa sarebbe necessario in realtà per passare dall'impotenza alla cultura democratica? Cosa sarebbe necessario per passare dalla debolezza alla capacità d'azione? Cosa sarebbe necessario per passare dalla violenza alla pace e all'eguaglianza? Prima di tutto sarà necessario un reale impegno da parte dei leader di ciascun paese, sia i governanti eletti sia coloro che detengono il potere finanziario e il potere d'influenzare l'opinione pubblica. Sarà necessaria la volontà di riformare i sistemi di governo, le normative e le istituzioni; sarà necessario costituire un forte appoggio per sviluppare la capacità istituzionale. Sarà necessario creare forze di polizia che siano viste non come agenti di oppressione ma come agenti di protezione e sicurezza. Sarà necessario costituire istituzioni locali forti per avvicinare il governo ai poveri. Sarà necessario dare il potere alle popolazioni locali per la messa a punto e l'attuazione dei programmi promossi da loro stesse perché molto meno va perduto a causa della corruzione quando è la comunità stessa che gestisce le proprie risorse. Sia che si guardi al governo o alla comunità, sia che si guardi attraverso il prisma della crisi finanziaria o del bisogno umanitario, sia che si parli ad investitori, banchieri o indigenti, il buon governo e la capacità istituzionale sono gli elementi chiave. La riduzione della povertà occupa una posizione preminente nel nostro calendario, pertanto, il nostro primo obiettivo deve essere il buon governo, lo sviluppo delle istituzioni e la capacità istituzionale. Alcuni studi in corso stanno già dimostrando ciò che già intuitivamente sapevamo: che il buon governo è legato ad un incremento del PNL pro capite, al tasso di alfabetismo tra adulti e alla diminuzione del tasso di mortalità infantile; e che il cattivo governo, caratterizzato dalla mancanza di senso di responsabilità e di trasparenza, dalla corruzione e dalla criminalità, costituisce l'ostacolo numero uno allo sviluppo e alla riduzione della povertà. I governi deboli minacciano di danneggiare il progetto HIPC, che può funzionare solo se le risorse liberate vengono usate con oculatezza per la riduzione della povertà. Con un governo debole, non vi può essere progresso nell'istruzione, nella sanità, nella distribuzione dell'acqua e dell'energia e nello sviluppo rurale ed urbano. Un governo debole minaccia di marginalizzare paesi e popolazioni dal flusso economico e li mantiene ai margini. Perché, se i prestiti sono efficaci soltanto nei paesi che hanno politiche e istituzioni forti, chi accorderà un prestito a paesi dal rendimento così basso? La Banca Mondiale propone di dare grande importanza, negli anni a venire, alla questione della collaborazione con i governi per il rafforzamento della strutture e del governo. Abbiamo forse tutte le risposte? No. Abbiamo tutta l'esperienza necessaria? Certamente no. Riusciremo nel nostro intento solo in collaborazione con le altre entità della comunità dello sviluppo, compresa la società civile e il settore privato. Entro i prossimi mesi, ci uniremo all'UNDP, che ha capacità ed esperienza particolari in questo campo, e con altri, per analizzare ciò che ciascuno di noi sta facendo in termini di buon governo e di sviluppo della capacità istituzionale. Valuteremo la capacità e l'esperienza che ciascuno di noi può contribuire e decideremo in che modo procedere assieme. Signor Presidente, tale programma esige un'attenzione particolare all'interazione dei sistemi che funzionano e che fanno funzionare efficacemente le società. Esige un'attenzione particolare ai sistemi di governo solidi dotati di sistemi per il controllo e la spartizione dei poteri. Ed esige che i governi si impegnino alla lotta contro la corruzione. Esige la costituzione di sistemi legali e giudiziari che proteggano i diritti dei cittadini e i loro obiettivi, e non solamente quelli dei governi e delle grandi imprese. La corruzione, che ruba ai poveri quel poco di cui dispongono, è il problema centrale della povertà. Dobbiamo mirare a sistemi finanziari e bancari che ispirino fiducia in egual misura agli investitori globali e ai poveri coltivatori, specie le donne. Dobbiamo mettere a punto procedure aziendali moderne, che comprendano politiche di contabilità, di verifica e di trasparenza ai più alti livelli. Dobbiamo convergere su schemi di microcredito, sui finanziamenti per le piccole e medie imprese e su schemi di micro-assicurazione che funzionino sia in tempi di crisi che nella normalità. Dobbiamo formare pubblici funzionari e leader locali organizzati e motivati che considerino il provvedere alle comunità in cui operano lo scopo del proprio lavoro. E, signor Presidente, dobbiamo ricordare che tale formazione professionale dipende dall'esistenza di mezzi di insegnamento e di apprendimento efficaci. Dobbiamo concentrare gli sforzi sulla creazione di istituzioni locali governative e civili forti, che ispirino fiducia. Non vi è dubbio che il livello locale è la vera chiave per la riduzione della povertà. Non basta modificare le regole formali per creare tali istituzioni. E' necessario modificare le regole e le norme informali, è necessario istruire le persone, introdurre valori, sviluppare le capacità e gli incentivi che sostengono i popoli impegnati a cambiare. In Africa sta emergendo un nuovo modello, si chiama Partnership for Capacity Building (Partenariato per lo sviluppo delle capacità). Ci sono voluti due anni per passare dalla fase concettuale all'azione. Si tratta di un programma guidato e attuato da africani. Presuppone appoggio e collaborazione diretti da parte della Banca Mondiale, del FMI, dell'UNDP e della African Development Bank, ed affonda le radici nel partenariato con il settore privato e la società civile. La Banca si è impegnata a versare 150 milioni di dollari per il fondo a sostegno dell'Iniziativa. Ci uniamo tutti ai colleghi africani per sostenerli in un'azione coordinata ed immediata che dia attuazione ai loro obiettivi. Tuttavia, dobbiamo ricordare il monito del Presidente Mkapa. Dobbiamo formare gli autori dello sviluppo. Troppi sforzi miranti allo sviluppo della capacità istituzionale hanno fallito in passato perché non poggiavano sul senso della proprietà locale. Signor Presidente, ho parlato a lungo di quanto sia complesso raggiungere i nostri obiettivi a livello del paese. Ma sappiamo che i paesi dipendono gli uni dagli altri. Sappiamo che i paesi non sono più padroni unici dei loro destini. E' necessario mettere a punto regole globali e comportamenti globali. E' necessario mettere a punto una nuova architettura per lo sviluppo internazionale che vada di pari passo all'architettura finanziaria internazionale. Che aspetto avrebbe una tale architettura per lo sviluppo internazionale? Prima di tutto, sarebbe una coalizione basata sulla collaborazione di tutti i partecipanti: le Nazioni Unite, i governi, gli enti multilaterali, il settore privato e la società civile. Una coalizione tra paesi beneficiari, donatori e cittadini dei paesi donatori, una coalizione basata sui risultati. L'assistenza allo sviluppo deve essere utilizzata in maniera efficace: libera da corruzione e mirata al raggiungimento dei poveri. I detentori del voto esigono che l'assistenza che essi accordano sia efficace. La buona volontà esiste, ora ci voglioni i risultati. In secondo luogo, nell'ambito di tale coalizione ci renderemo conto che sì dobbiamo spezzare le catene del debito ma dobbiamo anche avere a disposizione le risorse necessarie per andare oltre e spezzare le catene della povertà. Il condono del debito dei paesi più indebitati (HIPC) che abbiamo annunciato è l'inizio della nostra sfida, non la fine. Terzo, la coalizione riconoscerebbe la necessità di mettere a punto un commerciale che funzioni, dotato di regole e norme eque, globali ed integrative. Un ciclo di sviluppo per il XXI secolo. Quarto, la coalizione prenderebbe atto che l'ambiente non conosce confini. Dobbiamo dare attuazione agli accordi internazionali sul cambiamento climatico, la desertificazione e la diversità biologica, come abbiamo fatto per l'assottigliamento dello strato di ozono. Dobbiamo dare attuazione a queste convenzioni globali. Dobbiamo assicurare che la Global Environment Facility abbia i fondi e le risorse necessari per compiere la sua missione. Quinto, la coalizione riconoscerebbe il potere della ricerca moderna in termini di democratizzazione della sanità e messa a punto di nuovi vaccini per debellare l'AIDS, la malaria, la tubercolosi e la poliomielite. Sesto, la coalizione renderebbe la rivoluzione informatica realmente universale, per eliminare il crescente divario dell'accesso alla conoscenza, per collegare tutte le economie in via di sviluppo e le economie in transizione al resto del mondo e l'una all'altra, perché sia uno strumento per condividere ed apprendere via satellite, email, l'Internet. Non vi è dubbio che la rivoluzione tecnologica avrà un enorme impatto sulla natura dello sviluppo. Signor Presidente, la globalizzazione potrebbe essere più che lo scatenamento delle forze del mercato globale. Potrebbe essere lo scatenamento dell'unione dei nostri sforzi e della nostra esperienza per il raggiungimento di soluzioni globali. E' necessario creare coalizioni per il cambiamento. Coalizioni con il settore privato che promuoverà investimenti, occupazione, trasferimento della tecnologia e capacità e alimenterà la responsabilità sociale. Coalizioni con la società civile e le comunità locali per mobilitare lo stesso appoggio di base cui abbiamo assistito durante la campagna per la riduzione del debito, ed estenderlo alla sanità, all'istruzione per tutti, alla partecipazione e alla riduzione della povertà. Coalizioni con i governi per assisterli ad assumersi carico dei loro piani di sviluppo rendendo partecipi i loro cittadini. Coalizioni tra noi per porre fine al campanilismo, agli sprechi e alle duplicazioni degli sforzi. Coalizioni con le comunità religiose, i sindacati e le fondazioni per il bene del nostro lavoro comune. Coalizioni d'impegno verso sette programmi delle Nazioni Unite operanti per lo sviluppo sostenibile, la parità dei sessi, l'istruzione, la riduzione della mortalità infantile e materna, per la sanità riproduttiva e per l'ambiente. Mi impegno di fronte a voi a collaborare con tutti i nostri partner per contribuire a creare quelle coalizioni per il cambiamento affinché quando ci incontreremo a Praga il prossimo anno, avremo iniziato a mettere a punto quella nuova architettura per lo sviluppo. Signor Presidente, ho delineato un programma complesso. Ritengo inequivocabilmente che la Banca si stia preparendo alla sfida. Per migliorare la capacità di governo, stiamo già spendendo oltre 5 miliardi di dollari all'anno, diretti alla riforma della pubblica amministrazione, della gestione del bilancio, dell'amministrazione fiscale, alla decentralizzazione, nonché alle riforme legislativa, giudiziaria e istituzionale. La Banca lavora attualmente con oltre venti paesi su programmi anticorruzione. Prestiamo aiuto nella formazione professionale dei giudici, conduciamo seminari che espongono la corruzione alla luce del sole. Addestriamo inoltre i giornalisti investigativi, consapevoli che una stampa libera e professionale costituisce la voce della società. Nel corso degli ultimi quattro anni abbiamo compiuto passi da gigante nel campo della conoscenza. La nostra Banca della Conoscenza ci avvicina gli uni agli altri attraverso l'istruzione a distanza via satelline. E porta la conoscenza in luoghi remoti chiudendo il divario nell'infrastruttura informatica, raggiungendo gli studenti attraverso l'Università Virtuale Africana (African Virtual University) e attraverso il programma WorldLinks che collega i ragazzi delle scuole nei paesi industrializzati con i loro fratelli e le loro sorelle nei paesi in via di sviluppo. Abbiamo in progetto la pulizia dei bassifondi con programmi di vasto respiro creati sulla base degli sforzi delle popolazioni locali per regolare il problema dei diritti di proprietà e realizzare progetti autonomi per il miglioramento delle infrastrutture. Abbiamo costituito una forte alleanza con il Fondo Mondiale per la Natura, (World Wildlife Fund) per salvare le foreste; con il settore privato, le Nazioni Unite e le fondazioni stiamo costituendo un'alleanza globale per i vaccini e le immunizzazioni, e un'unità operativa per il vaccino dell'AIDS, nonché un'iniziativa contro la malaria. Con 140 diversi partner abbiamo messo sotto controllo l'oncocercosi. Questo è un esempio luminoso di ciò che possiamo compiere insieme. Inoltre lavoriamo con le comunità locali nell'intento di costituire partnership dalla base, attraverso le istituzioni democratiche locali come in India. Abbiamo imparato che i progetti migliori e più efficaci a cui abbiamo dato attuazione sono stati quelli con basi locali e vicini ai nostri veri clienti, la gente che vive in povertà nelle comunità rurali ed urbane. Abbiamo imparato che il senso della proprietà da parte delle popolazioni locali e il loro coinvolgimento deve essere la struttura portante della nostra architettura. La Banca è pronta alla sfida? Abbiamo 10 mila dipendenti estremamente qualificati e profondamente impegnati presso la Banca, la Società Finanziaria Internazionale e la MIGA. E' stato un anno difficile e voglio ringraziare loro e le loro famiglie per il loro contributo. Signor Presidente, siamo alle soglie del nuovo millennio. Sono tante le possibilità alla nostra portata. Avremo il coraggio e la leadership di tendere la mano e afferarle? Riconosceremo finalmente che viviamo in uno stesso mondo? Guardatevi intorno. Siamo collegati da sistemi finanziari, da sistemi di comunicazioni, dall'ambiente, dal commercio. La migrazione non conosce frontiere, il crimine non conosce frontiere, la droga, la guerra e la pace non conoscono frontiere. Solo i bilanci nazionali, signor Presidente, si fermano alle frontiere. Solo le elezioni nazionali prestano poca attenzione al mondo in senso più ampio. Abbiamo bisogno di una leadership che spieghi ai nostri popoli che i nostri interessi nazionali sono internazionali. Dobbiamo ribadire l'impegno allo sviluppo, un vero impegno l'uno verso l'altro, un impegno reale a prendere azione in base ai generosi discorsi pronunciati da tanti leader dei paesi industrializzati nei confronti dei paesi in via di sviluppo. Dobbiamo trovare l'impegno per raggiungere il livello raccomandato dello 0,7 per cento del PNL da utilizzare per l'aiuto allo sviluppo (Official Development Assistance). I leader delle economie in via di sviluppo e in transizione debbono ribadire il loro impegno a dare attuazione alle loro promesse in fatto di buon governo, di eguaglianza e di crescita. Tali impegni, signor Presidente, devono rivestire anche un aspetto umano e morale. Nell'accedere al prossimo secolo, è necessario riconfermare il nostro fervente impegno di solidarietà. Tutti noi dobbiamo assumere una responsabilità per l'equità globale, unica assicurazione di pace. Come si fa a non commuoversi ascoltando i commenti dei poveri ai quali ho fatto riferimento poc'anzi? Un padre in Europa dell'est: "La povertà è umiliazione, un senso di dipendenza, ed essere costretti ad accettare la maleducazione, gli insulti e l'indifferenza quando si cerca aiuto" . E la voce di Bashiranbibi in Asia meridionale: "All'inizio avevo paura di tutto e di tutti: di mio marito, della gente del villaggio, della polizia. Oggi non ho paura di nessuno. Ho il mio conto in banca personale. Sono a capo del gruppo dei risparmiatori del mio villaggio. Parlo alle mie sorelle del nostro movimento". Signor Presidente, dobbiamo guardare avanti, dobbiamo impegnarci a rendere possibile per i poveri del mondo, per i giovani pieni di speranza, per gli anziani, per i bambini della strada, per i disabili, per i contadini, per chi abita nei quartieri poveri di gridare un giorno: "Oggi non ho paura di nessuno. Oggi non ho paura di nessuno".