Non esiste più il terzo mondo? La modernizzazione del multilateralismo per un mondo multipolare Available in: 日本語, ‫العربية‬, Français, руÑ?Ñ?кий, Deutsch, Español, English, 中文, Português, ภาษาไทย Non esiste più il terzo mondo? La modernizzazione del multilateralismo per un mondo multipolare Robert B. Zoellick Presidente Il Gruppo della Banca Mondiale Woodrow Wilson Center for International Scholars 14 aprile 2010 Introduzione: Non esiste più il terzo mondo? Gli studiosi di sicurezza e politica internazionale hanno dibattuto per diversi decenni sul tema della nascita di un sistema multipolare. È giunto il momento di riconoscere il nuovo sistema parallelo economico. Nel 1989 abbiamo visto scomparire il “secondo mondoâ€? in seguito alla caduta del comunismo. Poi nel 2009 abbiamo visto scomparire il “terzo mondoâ€?. Ora ci troviamo in una nuova economia mondiale multipolare a rapida evoluzione in cui alcuni Paesi in via di sviluppo stanno emergendo come potenze economiche, altri Paesi stanno trasformandosi in ulteriori poli di crescita, e altri ancora stanno lottando per conseguire la propria potenzialità nell’ambito del nuovo sistema. Si tratta di una nuova economia mondiale in cui nord e sud, est ed ovest, sono punti cardinali e non più destini economici. La povertà esiste e va affrontata. Ci sono stati che falliscono, e anche questo problema va affrontato. Le sfide globali si stanno intensificando, ma anch’esse vanno affrontate. Sta cambiando, però, il m odo in cui queste problematiche vengono affrontate. Le vecchie catalogazioni, come ad esempio primo mondo, terzo mondo, benefattore e bisognoso, leader e seguace, non sono più adeguate. Le implicazioni relative a multilateralismo, azioni globali di collaborazione, rapporti di potere, sviluppo, e istituzioni internazionali sono alquanto profonde. Il multilateralismo conta La crisi economica globale ha dimostrato che il multilateralismo conta. Senza mai togliere lo sguardo dall’abisso, i Paesi del mondo hanno collaborato per salvare l’economia globale. Il G-20 moderno, istituito per fare fronte alla crisi, ha dimostrato subito le proprie potenzialità intervenendo tempestivamente per accrescere la fiducia generale. Ora ci si chiede se si fosse trattato semplicemente di un’anomalia o di un caso. Quando gli storici esamineranno l’anno 2009, lo interpreteranno come un caso singolare di collaborazione internazionale o come l’anno che segnò l’inizio di un fenomeno nuovo? Ora c’è chi giudica il tentativo di Woodrow Wilson di creare un sistema internazionale nuovo, dopo la prima guerra mondiale, come un’opportunità persa che lasciò il mondo allo sbaraglio tra tanti pericoli. Ci troviamo in un momento simile? Si teme che l’attenuarsi della paura nei riguardi della crisi riduca anche il desiderio di collaborazione. Già si avvertono le forze gravitazionali che attirano le nazioni del mondo verso obiettivi di proprio esclusivo interesse. Ma ciò sarebbe un errore. Le placche tettoniche dell’emisfero economico e politico si s tanno spostando. Possiamo spostarci insieme a loro oppure possiamo continuare a guardare il mondo nuovo attraverso il prisma di quello vecchio. Dobbiamo renderci conto delle nuove realtà. Dobbiamo agire in base ad esse. Che cosa è cambiato? Nuovi punti di provenienza della domanda Che cosa è cambiato? Il mondo in via di sviluppo non ha causato la crisi, ma potrebbe essere una componente importante della soluzione. Il mondo sarà molto diverso tra 10 anni e la domanda di beni di consumo non proverrà soltanto dagli Stati Uniti, ma da tutto il globo. Già vediamo i primi cambiamenti. Il contributo dell’Asia all’economia globale, in termini di parità del potere di acquisto, è aumentato in modo costante portandosi dal 7 per cento, nel 1980, al 21 per cento nel 2008. Attualmente i mercati azionari dell’Asia rappresentano il 32 per cento della capitalizzazione del mercato globale. Superano gli Stati Uniti, con il 30 per cento, e l’Europa, con il 25 per cento. L’anno scorso la Cina ha superato la Germania, come maggior esportatore del mondo, e gli Stati Uniti come maggior mercato automobilistico al mondo. I dati sulle importazioni parlano chiaro: il mondo in via di sviluppo sta diventando un elemento trainante dell’economia globale. La maggior parte della ripresa economica a livello mondiale è dovuta alla forte domanda di beni di importazione da parte dei Paesi in via di sviluppo. Le importazioni di questi Paesi hanno già superato del 2 per cento il massimo da essi registrato nell’aprile del 2008, prima della crisi. Le importazioni dei Paesi a reddito elevato, invece, sono tuttora inferiori del 19 per cento all’ultimo dato massimo registrato. Anche se le importazioni del mondo in via di sviluppo rappresentano circa la metà delle importazioni dei Paesi a reddito elevato, occorre notare che stanno aumentando ad un ritmo molto accelerato. In sostanza hanno generato più della metà dell’aumento nella domanda di beni di importazione nel mondo dal 2000 in avanti. Nuovi poli di crescita L’economia del mondo si sta riequilibrando. Alcuni elementi sono nuovi, altri sono stati ripristinati. Secondo Angus Maddison fu l’Asia a produrre oltre la metà della produzione mondiale in ben 18 degli ultimi 20 secoli. Con la crescita della classe media nei Paesi in via di sviluppo vediamo una tendenza sempre più forte verso molteplici poli di crescita – miliardi di persone operano nell’economia mondiale e i nuovi schemi di integrazione uniscono l’intensificazione regionale all’apertura globale. Questi cambiamenti non interessano soltanto la Cina o l’India. Il contributo del mondo in via di sviluppo al PIL in termini di parità di potere di acquisto è aumentato passando dal 33,7 per cento, nel 1980, al 43,4 per cento nel 2010. È probabile che i Paesi in via di sviluppo saranno caratterizzati da forti tassi di crescita durante il prossimo quinquennio ed oltre. Il contributo dell’Africa sub -sahariana potrebbe crescere, in media, di oltre il 6 per cento annuo fino al 2015, mentre nella zona sud dell’Asia, dove risiede la metà delle popolazioni pove re del mondo, potrebbe aumentare fino al 7 per cento annuo durante lo stesso arco di tempo. Il sud-est asiatico, che è diventato una regione a reddito medio per circa 600 milioni di persone, ha rapporti sempre più forti con India e Cina, relazioni più profonde con Giappone, Corea e Australia, e legami commerciali a carattere continuativo con America del nord ed Europa per il global sourcing. La regione del Medio Oriente rappresenta una fonte importante di capitale per il resto del mondo, ma anche un hub centralizzato e sempre più importante di business-service tra Asia – est e sud – Europa ed Africa. Le riserve ufficiali lorde dei Paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo ammontavano a $500 miliardi alla fine del 2008, e si stima che i fondi sovrani di investimento si aggirino sui 1.000 miliardi di dollari. Se il Maghreb può propagarsi oltre le linee di demarcazione storiche, potrebbe diventar parte di un’integrazione Euro -Med collegata al Medio Oriente e all’Africa. Nella regione dell’America Latina e dei Caraibi, 60 milioni di persone sono usciti dalla povertà tra il 2002 e il 2008. Il contributo dato dalla classe media, in costante aumento, all’incremento del volume delle importazioni è stato pari al 15 per cento annuo . Africa: polo potenziale di crescita Le placche tettoniche potrebbero slittare ulteriormente. L’Africa ha mancato di partecipare alla rivoluzione industriale che ha risollevato le economie dell’Asia dell’est trasformando la povertà in prosperità. Ma non c’è motivo per cui l’Africa debba rimanere indietro. Tanti Paesi africani importano tuttora anche gli oggetti più piccoli ed economici, ad esempio sapone e ciabatte da camera, strumenti elementari e prodotti comuni di consumo. Se gli africani abbattessero le barriere che ostacolano i propri imprenditori e la produzione interna dei prodotti che vengono importati e creassero condizioni favorevoli per gli investitori stranieri che desiderano avere centri di produzione in Africa, lo sviluppo africano cambierebbe completamente volto. A differenza dei tentativi falliti del passato che, dietro il protezionismo, favorivano gli interessi sostitutivi delle importazioni, questo approccio permette di raccogliere i frutti generati dall’integrazione regionale nell’ambito dei mercati globali. Che cosa occorre? Innanzitutto è necessario che l’80 per cento degli africani che guadagna $2 o meno al giorno riceva una remunerazione sufficiente a permettere l’acquisto dei beni di consumo di base. Dato che la maggior parte della popolazione lavora nel settore agricolo, quest’ultimo rappresenta una delle principali opportunità per aumentare la produttività e il reddito. A tal fine è necessario investire in tutto il ciclo che produce valore: terreni, semenze, mezzi di irrigazione, fertilizzanti, finanziamenti, tecnologie di base, strutture di stoccaggio e mezzi di trasporto verso i mercati di sbocco. Dato che gli agricoltori africani sono, per circa due terzi, donne, è necessario aiutarle a tutelarsi, ad assicurare i propri diritti sui beni immobili e ad avere accesso ai servizi di cui hanno bisogno. Un leggero miglioramento del reddito medio e dello stile di vita permetterebbe agli imprenditori locali di produrre beni idonei e mirati per i mercati locali e, in un secondo tempo, per l’esportazione. Per crescere ulteriormente è necessario che gli africani si procurino i beni di cui l’Europa e il Giappone avevano necessità dopo la seconda guerra mondiale: infrastrutture, fonti energetiche, mercati integrati collegati all’economia globale, oltre alle condizioni idonee per lo sviluppo di un settore privato dinamico. Detti beni sosterrebbero molto di più della sola produzione locale. I cambiamenti attuali generano opportunità nuove. Sin dai primi sentori della crisi globale alcuni produttori cinesi si resero conto che era giunto il momento opportuno per spingere la produzione al di là di giocattoli e scarpe. Ciò permise alla Cina di portarsi avanti sul percorso della produzione del valore, di aumentare stipendi e consumo, e di allargare la propria “società armoniosaâ€?. Inoltre, ciò permise alle aziende cinesi di spostare altrove, ad esempio in Africa, la produzione di prodotti a minore valore aggiunto come già avevano fatto le imprese edili e di sviluppo risorse. Le aziende cinesi possono essere incoraggiate a spostare gli sta bilimenti di produzione sia dei beni destinati all’uso interno che all’esportazione. Tali aziende contribuiscono know-how, macchinari, marketing e punti di accesso alle reti distributive. La Banca Mondiale sta collaborando con l’Africa e la Cina per creare zone industriali. I primi investitori sono coloro che hanno ravvisato la promessa africana e non si lasciano scoraggiare dai rischi – e dopo i fatti riguardanti Lehman Brothers e la Grecia, gli investitori sono più che mai consapevoli del fatto che i mercati sviluppati non sono senza rischi. I cambiamenti delle politiche di uno stato possono creare opportunità di crescita per il settore privato che, a sua volta, propone i propri servizi agli altri imprenditori. Nel decennio che ha preceduto il 2008, il settore privato ha investito più di $60 miliardi nel settore informatico e delle comunicazioni in Africa; il 65 per cento degli africani ora può accedere ai servizi vocali wireless, e il numero dei cellulari in uso in Africa è salito a 400 milioni. L’IFC, il ramo del Gruppo della Banca Mondiale che si occupa del settore privato, sta aiutando a catalizzare questa rivoluzione. Un nuovo fondo equity IFC ha attratto $800 milioni da fondi pensione e di investimento sovrani, fondi destinati ad investimenti in aziende in Africa, America Latina e Caraibi. Cambiamenti economici e potenziali cambiamenti di potere L’aumento del reddito e il miglioramento economico che sta avvenendo nel mondo in via di sviluppo equivale ad un aumento di potere. Il vecchio mondo dei dialoghi dei leader del G-7 intorno al caminetto è ormai una cosa del passato. Per i dialoghi attuali occorre un tavolo lungo a sufficienza per tutti i partecipanti chiave, e non devono mancare i Paesi in via di sviluppo. L’anno scorso, a Pittsburgh, il G-20 ha preso atto di tale trasformazione. Ma le parole, anche se stampate su fogli di carta, non bastano. Né i fogli su cui erano scritte le parole di Woodrow Wilson bastarono, da soli, a conseguire gli obiettivi desiderati. Ridefinire le responsabilità tra i vari interessati nell’ambito dei sistemi internazionali non sarà facile, ma occorrerà farlo. Gli insuccessi del 1919 avevano portato ad una situazione di non collaborazione tra i Paesi, nel 1929, e allo scoppio di una guerra nuova, in Europa, nel 1939. Una certa tensione si nota già. Il Doha Round dell’Organizzazione Mondiale del Commercio e i convegni di Copenaghen sui cambiamenti climatici hanno dimostrato quanto sarà difficile ripartire i frutti e le responsabilità comuni tra i Paesi sviluppati e quelli in via di sviluppo. Gli stessi dibattiti hanno inoltre portato alla luce la varietà delle sfide che i Paesi in via di sviluppo devono affrontare. Se è vero che non è più possibile risolvere le maggiori problematiche internazionali senza il coinvolgimento dei Paesi in via di sviluppo e in transizione, non è più possibile presumere che i membri maggiori, ovvero i Paesi BRIC – Brasile, Russia, India e Cina – possano rappresentarli tutti. E lo stesso vale per una varietà di altre sfide che si stanno profilando in vari campi: acqua potabile, malattie, migrazione, demografia, stati fragili e stati post-conflitto. Il G-20 rappresenta un nuovo forum, ma dobbiamo fare attenzione a non imporre al mondo una gerarchia nuova e inflessibile. Il G-20 deve fungere da “Steering Groupâ€? della rete di Paesi e istituzioni internazionali. Dovrà individuare le interconnessioni che esistono tra le varie problematiche e sostenere i punti di comune interesse. Un tale sistema non può essere gerarchico o burocratico. Dovrà, inoltre, provare la propria efficacia sulla base dei risultati concreti realizzati. Il pericolo della geopolitica abituale Se guardiamo il mondo in via di trasformazione attraverso il prisma del vecchio G-7, corriamo il rischio che la forza di gravità della politica trascini nuovamente i Paesi verso il perseguimento dei propri interessi. Gli interessi dei Paesi sviluppati, nonostante le buone intenzioni, non rappresentano le economie emergenti. Non possiamo permetterci di seguire la geopolitica di un tempo. Non possiamo neppure ritirarci in un “Vecchio multilateralismoâ€?, la soluzione metternichiana del Congresso di Vienna del 19o secolo che resiste alle trasformazioni. È necessario che la “nuova geopolitica delle economie multipolariâ€? condivida le responsabilità e riconosca, al contempo, le varie prospettive e circostanze in modo da sviluppare degli interessi più comuni. Riforma finanziaria Vediamo la riforma finanziaria: il mondo ha pagato il crollo del sistema finanziario globale con la perdita di posti di lavoro e la rovina di tante persone. Siamo d’accordo che occorrono delle normative finanziarie migliori, con regole più severe su capitali, liquidità e controlli. Occorrerà che il nuovo sistema di controllo tenga in considerazione i rischi sistemici, cambi le normative che rafforzano gli alti e i bassi dei cicli, consolidi i controlli per evitare lacune, e tenga in considerazione l’inflazione nel la valutazione dei prezzi delle attività, dei beni e dei servizi. Occorre, però, prestare la massima attenzione per evitare conseguenze impreviste. Dobbiamo evitare di aggravare i costi incoraggiando il protezionismo finanziario o limitando in modo non equo i servizi finanziari ai poveri. Le normative approvate a Bruxelles, Londra, Parigi o Washington possono funzionare per i grossi istituti bancari del mondo sviluppato. Ma possono funzionare per gli istituti bancari minori a prescindere dal fatto che si trovino nei Paesi sviluppati o in via di sviluppo? Tali normative potrebbero soffocare il settore finanziario, l’innovazio ne e la gestione dei rischi nei Paesi in via di sviluppo. Potrebbero ostacolare gli investimenti al di là dei confini nazionali. Eventuali imposizioni in merito ai “finanziamenti localiâ€? potrebbero avere gli stessi effetti dello slogan “acquista i prodotti del postoâ€?. Eventuali imposizioni in merito a “sedi fisiche sul postoâ€? potrebbero ostacolare i servizi e soffocare gli scambi. Eventuali imposizioni in merito a “liquidità localeâ€? potrebbero frammentare la gestione della liquidità globale e aumentare considerevolmente i costi senza accrescere il grado di sicurezza. Gli strumenti finanziari derivati si sono guadagnati una brutta reputazione e non ci si può meravigliare se si pensa all’AIG. Eppure gli strumenti finanziari derivati vengono utilizzati dai co ltivatori del Midwest americano per tutelarsi contro la volatilità dei prezzi dei cereali. Il Messico ha utilizzato le opzioni sull’energia per garantire un determinato prezzo del petrolio in modo da coprire una buona parte del budget statale. La Banca Mondiale è l’istituzione che aprì la strada ai currency swap da lei utilizzati per tutelarsi contro i rischi legati al cambio e ai tassi di interesse. I nostri prestiti offrono delle opportunità di hedging (copertura) per tutelare i sottoscrittori del prestito contro i rischi legati al cambio, ai tassi di interesse, ma anche ad altri rischi come, ad esempio, siccità e catastrofi naturali. Abbiamo contribuito allo sviluppo dei finanziamenti nella valuta locale legati ai mercati globali e così facendo abbiamo contribuito a tutelare i Paesi in via di sviluppo dalle ondate della recente crisi finanziaria. Le innovazioni finanziarie, se usate e gestite in modo prudente, migliorano l’efficienza dei processi e tutelano contro i rischi. La Banca Mondiale è l’istituzione che ha aperto la strada alle assicurazioni del bestiame dei mandriani della Mongolia, allo strumento finanziario derivato contro la siccità per lo stato del Malawi, e al pool assicurativo dei Caraibi contro il rischio di catastrofi naturali. Grazie a quest’ultimo, dopo il terremoto Haiti ha ricevuto subito, a gennaio, $8 milioni – in anticipo rispetto ai fondi di ogni altra fonte esterna. Zedillo, l’ex presidente del Messico, si era reso conto che per le popolazioni povere il problema principale non era avere un numero troppo elevato di mercati, ma averne un numero troppo ridotto. I mercati servono per i microfinanziamenti delle piccole e medie imprese, specialmente se gestite da donne; servono per assicurarsi locali di stoccaggio, per il trasporto e la vendita dei prodotti; per il risparmio, per le assicurazioni e gli investimenti. Wall Street ha portato alla luce i pericoli delle innovazioni finanziarie ed è nostro dovere tenerli presenti e agire di conseguenza. Ma lo sviluppo ha prodotto dei benefici. Un eventuale prisma populista G-7 può tagliare le opportunità a miliardi di persone. . Il cambiamento climatico: Per quanto riguarda il cambiamento climatico, sarebbe rischioso prendere un libro di normative messo a punto dai Paesi sviluppati e imporlo come modello a ‘taglia unica’ ai Paesi in via di sviluppo. Lo rifiuterebbero. Se leghiamo la politica sul cambiamento climatico allo sviluppo ci assicureremo il sostegno dei Paesi in via di sviluppo, data la bassa crescita delle emissioni di carbonio – ma solo se non viene imposta come una camicia di forza Questo non significa che manchi l’impegno nei riguardi di un futuro più verde. Anche gli abitanti dei Paesi in via di sviluppo desiderano un ambiente pulito. I Paesi in via di sviluppo hanno bisogno di supporto e fondi che permettano loro di investire in una crescita economica più pulita. Sono 1,6 miliardi le persone che non hanno l’energia elettrica. La sfida consiste nel sostenere la transizione verso fonti energetiche più pulite senza sacrificare accessibilità, produttività e sviluppo, cioè gli elementi che possono liberare centinaia di milioni di persone dalla povertà. Per evitare di ricadere nella geopolitica abituale dobbiamo esaminare in modo diverso le problematiche. Dobbiamo allontanarci dalla scelta binaria tra potere e ambiente. Dobbiamo perseguire delle politiche in grado di: tenere in considerazione il prezzo del carbonio, aumentare l’efficienza energetica, sviluppare tecnologie di energia pulita utilizzabili nei Paesi più poveri, promuovere l’ene rgia solare fuori rete, innovare con la geotermia, assicurare risultati win-win tramite le politiche che disciplinano l’utilizzo delle foreste e dei terreni e, al contempo, sviluppare posti di lavoro e rafforzando il grado di sicurezza energetica. Il mondo sviluppato ha prosperato grazie all’energia idroelettrica prodotta con la costruzione di dighe. C’è chi non crede che il mondo in via di sviluppo debba avere pari accesso alle fonti energetiche utilizzate dalle economie sviluppate. Per tali persone pensare in questo modo è facile quanto lasciare le luci accese nelle stanze vuote di casa. Dobbiamo prenderci cura dell’ambiente, ma allo stesso tempo non possiamo pretendere che i bambini africani facciano i compiti al lume di candela, né possiamo negare agli africani un posto di lavoro nei settori manifatturieri. Il vecchio prisma dei Paesi sviluppati è il modo più sicuro per perdere il sostegno dei Paesi in via di sviluppo sugli obiettivi ambientali globali. Gestione anticrisi La risposta alla crisi: in un mondo in transizione si corre il rischio che i Paesi sviluppati si concentrino sui summit dei sistemi finanziari o sulla cattiva amministrazione dei Paesi sviluppati, come ad esempio la Grecia. I Paesi in via di sviluppo hanno bisogno di summit per i poveri. La crisi attuale ci ha insegnato che è stata l’efficacia delle reti di sicurezza ad impedire la perdita di una generazione, a differenza della crisi asiatica degli anni 90. Ascoltare la prospettiva dei Paesi in via di sviluppo non è più una questione di beneficenza o solidarietà. È nel nostro interesse. I Paesi in via di sviluppo sono diventati fonti di crescita economica e importatori di beni in conto capitale e di servizi dai Paesi sviluppati. I Paesi in via di sviluppo non vogliono parlare soltanto del forte grado di indebitamento dei Paesi sviluppati. Essi desiderano concentrarsi sugli investimenti produttivi, sulle infrastrutture e sullo sviluppo formativo dei bambini. Vogliono avere mercati liberi per creare posti di lavoro, aumentare la produttività e lo sviluppo. Sono in forte numero gli interessati che stanno studiando il modo di utilizzare l’innovazione e l’efficienza dei mercati privati per la fornitura e il mantenimento delle infrastrutture e dei servizi pubblici. Il nuovo ruolo delle potenze in ascesa Per modernizzare il multilateralismo non è sufficiente insegnare ai Paesi sviluppati come adattarsi alle esigenze delle potenze nuove. Il potere comporta delle responsabilità. I Paesi in via di sviluppo devono rendersi conto che ora fanno parte dell’architettura globale. È nel loro interesse poter contare, oltre che su forti istituzioni multilaterali, su sistemi internazionali sani, dinamici e flessibili nei campi delle finanze, del commercio, dell’ambiente, dello scambio di idee e degli spostame nti di persone fisiche. Dobbiamo individuare i punti di comune vantaggio per assicurare di soddisfare entrambi. Allo stesso tempo dobbiamo renderci conto dei limiti politici interni e dei timori locali. Dobbiamo giungere a degli accordi per i quali ciascun leader possa ottenere l’appoggio dei propri cittadini. Il mondo in costante trasformazione che impatto ha sullo sviluppo? Il mondo in costante trasformazione che impatto ha sullo sviluppo? Lo sviluppo non procede più dal nord verso il sud. Va anche da sud a sud, e persino da sud a nord, e le persone aperte di mente possono imparare qualcosa in qualsiasi parte del mondo. Basti pensare ai programmi di trasferimento condizionato del contante in Messico che ora vengono studiati in tutto il mondo. Sono stati gli indiani che, con la spiegazione della cosiddetta “rivoluzione biancaâ€?, in Africa, hanno contribuito all’aumento della produzione di latte. Siamo in un mondo nuovo in cui i Paesi in via di sviluppo non sono solo fruitori di mezzi di assistenza e competenze, ma ne sono anche i fornitori. Né vale più parlare di panacea ideologica, o di progetti su carta o a ‘taglia unica’ per tutti. Per portare avanti lo sviluppo nelle economie multipolari occorre pragmatismo, abilità di imparare dall’esperienza, capacità a riconoscere i trend di trasformazione dei mercati e le opportunità commerciali, la condivisione delle idee e la connessione delle conoscenze, così come colleghiamo i mercati, mediante l’uso di reti innovative. Analogamente, anche il futuro dello sviluppo non è basato soltanto sui vecchi concetti di aiuto e assistenza. I fondi sovrani di investimento e i fondi pensione che desiderano investire in Africa con il Gruppo della Banca Mondiale rappresentano una nuova forma di intermediazione finanziaria. Non è una forma di beneficenza. Sono investimenti che desiderano buoni rendimenti. L’IFC sta contribuendo all’abbassamento delle barriere sui dati e alla riduzione dei costi delle operazioni. Il nostro obiettivo è nientemeno quello di rivoluzionare il flusso finanziario diretto ai Paesi in via di sviluppo. La modernizzazione delle istituzioni multilaterali Come gestiremo la “nuova geopolitica dell’economia multipolareâ€? in modo che tutti siano rappresentati in modo equo in ‘Associazioni a favore di Tanti’ piuttosto che in ‘Circoli a favore di Pochi’? Se le placche tettoniche si stanno riposizionando, occorre riposizionare anche le istituzioni multilaterali. La crisi ha portato alla luce la potenzialità della collaborazione internazionale, ma ha anche sottolineato la necessità di modernizzare e rafforzare le istituzioni multilaterali in modo che riflettano il mondo nuovo. Nel mondo nuovo è imperativo identificare gli interessi reciproci, concordare gli interventi condivisi, e gestire le differenze con un numero di Paesi più elevato che mai. Per questo occorrono istituzioni dinamiche, elastiche e responsabili in grado di dare una voce a coloro ma non hanno mai potuto parlare. Occorrono istituzioni che offrano assistenza ai propri partner con umiltà e rispetto. Occorrono istituzioni disposte ad imparare dagli altri e capaci di agire come connettori globali, come pionieri in un nuovo mondo aperto allo studio e agli scambi da sud a sud e da sud a nord. Occorrono istituzioni in grado di dimostrare i risultati effettivi realizzati e che reagiscono nei momenti di difficoltà. Il Gruppo della Banca Mondiale deve intraprendere delle riforme per contribuire all’espletamento di questo nuovo ruolo. E lo deve fare in modo continuativo e ad un passo più celere che mai. Il governo e le istituzioni pubbliche tendono a reagire più lentamente ai cambiamenti rispetto al settore privato che deve misurarsi costantemente con la competizione. Ci rendiamo conto di questi rischi. Per affrontarli abbiamo lanciato le riforme più complete nella storia della nostra istituzione. Più rappresentativi e legittimi grazie alle riforme Una volta modernizzato, il Gruppo della Banca Mondiale deve essere in grado di rappresentare le realtà economiche internazionali del 21o secolo, e deve riconoscere non solo il ruolo e le responsabilità di un numero sempre maggiore dei diretti interessati, ma anche la loro diversità ed esigenze speciali. Infine, deve dare una voce maggiore all’Africa. Per far fronte a queste esigenze, esortiamo i nostri azionisti a mantenere la promessa di portare ad almeno il 47 per cento la partecipazione dei Paesi in via di sviluppo entro questo mese. Ma non ci fermeremo lì. Si applicherà un modello unico nel settore delle istituzioni finanziarie internazionali in base al quale le quote di partecipazione verranno esaminate ogni cinque anni in modo da poter effettuare i cambiamenti necessari sulla base dell’evoluzione e della crescita economica degli azionisti al fine di realizzare, nel tempo, l’equità. Le quote di partecipazione saranno calcolate, per la prima volta, in base ad una formula sviluppata specificatamente per soddisfare le esigenze e i mandati del Gruppo della Banca Mondiale: rifletteranno non solo il potere economico, ma anche i contributi fatti al fondo dei Paesi più poveri al mondo. La nostra direzione senior ora vanta un numero record di dirigenti provenienti da Paesi in via di sviluppo, oltre ad un numero record di donne. Ma dobbiamo fare di più. Dobbiamo collaborare con i Paesi in via di sviluppo come si collabora con la clientela e non come se stessimo trattando con gli elementi di modelli di sviluppo presi da libri di testo. Dobbiamo aiutarli a risolvere i problemi; non usiamoli per testare le teorie. Per risolvere i problemi occorrono risorse. Stiamo intraprendendo riforme mediante l’aggiunta di risorse Da quando la crisi è esplosa in tutta la sua forza intorno alla metà del 2008, il Gruppo della Banca Mondiale si è impegnato a destinare più di $100 miliardi al sostegno dei Paesi in via di sviluppo. Si tratta di un record storico in assoluto. Desidero, pertanto, ringraziare in modo particolare lo staff del Gruppo della Banca Mondiale per il lavoro eccezionale svolto a tal fine. Abbiamo portato i capitali laddove necessitavano e con celerità. Nonostante il Gruppo della Banca Mondiale sia stato, per tradizione, un organo di finanziamento di progetti a lungo termine, gli esborsi fatti a sostegno dello sviluppo hanno superato quelli dell’FMI per la lotta contro la crisi. Quando il Gruppo della Banca Mondiale si è fatto avanti per affrontare i pericoli attuali del momento, abbiamo fatto affidamento sull’uso efficace ed efficiente delle risorse disponibili. Ma avremo bisogno di maggiori risorse per far fronte alla domanda attuale di sostegno della nuova crescita e per portare avanti il multilateralismo modernizzato in questa nuova economia mondiale multipolare. Se la ripresa dovesse vacillare, ci troveremo a dover fare da spettatori. Pertanto la Banca Mondiale, per la prima volta in oltre 20 anni, intende perseguire un aumento di capitale. La decisione spetta agli azionisti: rafforzare il Gruppo o lasciare che il suo potere svanisca del tempo, con la conseguente perdita di un’istituzione multilaterale e fficace che verrebbe lasciata in balia di qualsivoglia sfida armata di poche risorse. Oltre ad aver fornito risorse economico-finanziarie cruciali, abbiamo dimostrato il funzionamento del multilateralismo modernizzato. Stiamo sviluppando la collaborazione tra i nostri 186 Paesi affiliati. Oltre la metà delle risorse raccolte per aumentare il nostro capitale proverrà dai Paesi in via di sviluppo e verrà generato mediante aumenti di prezzo e maggiori investimenti in conto capitale. Se l’accordo su questo pacc hetto di misure andrà a buon fine, esso rappresenterà una storia di successo multilaterale in netto contrasto con le recenti difficoltà nel campo dei cambiamenti climatici. Le riforme per diventare più efficaci, innovativi e responsabili Il lavoro di rappresentanza e le risorse da soli non bastano. Dobbiamo essere più efficaci, propositivi, innovativi, elastici e responsabili. Stiamo intraprendendo delle riforme che permetteranno di puntare meglio la nostra focalizzazione strategica laddove possa generare il massimo valore – verrà focalizzata, quindi, sui popoli poveri e vulnerabili, specialmente nell’Africa sub-sahariana, sulla creazione di opportunità di crescita, e sulla promozione delle iniziative collettive globali – ad esempio nel campo dei cambiamenti climatici, nel settore agricolo, idrico, e sanitario – sul rafforzamento l’amministrazione e sull’approntamento dei programmi anticrisi. Stiamo intraprendendo delle riforme che ci permetteranno di modernizzare prodotti e servizi, promuovere le opportunità di innovazione, e valutare un nuovo schema di decentralizzazione che ci permetterà di far uso di competenze d’avanguardia più mirate alle esigenze della clientela oltre che a raccogliere, personalizzare e condividere le conoscenze e le esperienze acquisite a livello globale. Abbiamo bisogno di una portata globale con presenza locale. Stiamo intraprendendo delle riforme che ci permetteranno di focalizzare l’attenzione sui risultati, di rafforzare l’amministrazione e le misure contro la corruzione, tra cui considerevoli iniziative di prevenzione, e dirigere altre istituzioni internazionali verso una maggiore trasparenza e assunzione di responsabilità. Le nuove disposizioni sull’accesso a dati e informazioni, basate sulle leggi indiane e USA sulla libertà dell’informazione, sono le prime, ma non le ultime, nel loro genere nel mondo delle istituzioni internazionali. Stiamo lanciando le nuove disposizioni sull’accesso aperto ai dati della Banca Mondiale. La settimana scorsa abbiamo sottoscritto un accordo co n altre banche di sviluppo multilaterale sull’esclusione incrociata di persone e aziende corrotte. Stiamo, inoltre, lanciando la scheda di valutazione societaria con cui potremo rendere conto, in modo più chiaro, del nostro operato. Sappiamo che commettiamo degli errori. Se eliminare la povertà fosse un compito facile, sarebbe stato fatto parecchio tempo fa. Se apriamo le tende e permettiamo agli altri di vedere ciò che facciamo, il modo in cui lo facciamo e i risultati che otteniamo, sarà possibile individuare e risolvere con maggiore tempestività eventuali errori. Nell’insieme, si tratta di riforme trasformative. La nostra istituzione non assomiglierà più alla Banca Mondiale di cui sentivano parlare i nostri nonni, o i nostri genitori. Conclusioni Le riforme non sono un’iniziativa una tantum. Devono essere un elemento costantemente presente nella nostra realtà. Occorre fare adattamenti e riadattamenti con loop continui di riscontro per soddisfare le realtà in costante trasformazione. Non sappiamo prevedere con certezza il futuro. Però possiamo prevederne i corsi – e su uno di questi vediamo stagliarsi, all’orizzonte, l’era dell’economia globale multipolare. Non si tratta di anomalie o del puro caso. Viviamo in un mondo di stati nazione. Ma vi è un numero maggiore di stati che esercita un’influenza sul nostro destino comune. Si tratta di stati sviluppati e in via di sviluppo in tutte le regioni del globo. Tutto questo può essere positivo. Ma le linee di demarcazione di questa nuova economia multipolare sono ancora in corso di formazione. Questa economia deve essere sagomata. Il sistema multilaterale moderno deve adattarsi a questi cambiamenti. Il multilateralismo moderno deve essere pratico. Inoltre deve tenere in considerazione il fatto che la maggior parte del potere governativo risiede ancor oggi nello stato nazione, anche se tante decisioni e fonti influenti abbiano una presenza intorno, nei, e al di là dei governi. Il multilateralismo moderno deve attrarre nuovi operatori, deve sviluppare la collaborazione tra protagonisti vecchi e nuovi, e deve fare uso delle istituzioni globali e regionali per affrontare le minacce e sfruttare le opportunità che vanno al di là delle capacità delle singole nazioni. Il multilateralismo moderno non assomiglierà ad uno di quei circoli privati in cui il numero di persone escluse supera quello dei presenti. Avrà, invece, un aspetto diffuso e globale, come internet, perché collegherà un numero sempre maggiore di Paesi, aziende, persone e organi non statali mediante reti elastiche. Le istituzioni multilaterali, lecite ed efficaci, sostenute da risorse e munite delle competenze necessarie per il conseguimento dei risultati prefissati, possono formare un tessuto interconnettivo capace di attraversare l’intera architettura scheletri ca di questo sistema dinamico e multipolare. Woodrow Wilson aveva auspicato la Lega delle Nazioni. Noi auspichiamo la Lega delle Reti. È giunto il momento di abbandonare i vecchi concetti di primo e terzo mondo, di leader e di seguaci, di benefattori e bisognosi. Dobbiamo sostenere lo sviluppo di una molteplicità di poli di crescita di cui possano beneficiare tutti.