“Cogliere opportunità dalla Crisi: Fare funzionare il multilateralismo� Robert B. Zoellick Presidente World Bank Group Thomson Reuters Building, Canary Wharf, Londra 31 marzo 2009 Introduzione Circa ottant’anni fa, uno dei più importanti economisti del ventesimo secolo e noto inglese del suo tempo, John Maynard Keynes, si presentò innanzi ad un comitato di governo inglese. Il mondo stava scivolando in quella che sarebbe stata considerata la Grande Depressione. Nella sua testimonianza, rilasciata a poche miglia da qui, Keynes si rivolse al suo pubblico per allontanarsi dalla poca arguzia dei burocrati del tempo ed aprire loro gli occhi su una quadro decisamente di maggiori proporzioni. Sarebbero accorsi ancora sei anni a Keynes per pubblicare il suo capolavoro General Theory, anche se riuscì già allora ad anticipare le sua visione: “Siamo entrati in un circolo vizioso, non facciamo nulla perché non abbiamo denaro; ma è precisamente per il fatto che non facciamo nulla che non abbiamo denaro.� Keynes intendeva salvare l’economia di mercato e temeva le conseguenze politiche – in un’era di Comunismo e Fascismo – nel caso di un mancato intervento. Ma la sua richiesta di andare al di là dell’interesse dei singoli caddero nel vuoto. I governi reagirono in maniera inefficacia alla Depressione. I diversi paesi indulsero troppo a lungo in politiche competitive beggar-thy-neighbor (letteralmente politica che prevede chiedere la carità al proprio vicino)1[1]. E fu la catastrofe. Ma le idee di Keynes, desunte dall’opportunità imposta dalla crisi, sono tutt’ora influenti. Insieme alla sua generazione creò il sistema multilaterale che sopravvive ancora oggi ed a cui dobbiamo rifarci per accettare le sfide della nostra era. Quello che Keynes ed altri hanno ottenuto, anche durante la Seconda Guerra Mondiale , combinava idee sostenute da azioni. Si tratta della teoria che permise di creare l’architettura economica del periodo post - bellico. Posero le basi imprescindibili per World Bank Group, il Fondo Monetario Internazionale e quella che in seguito sarebbe diventata la World Trade Organization. Anche oggi non dobbiamo astenerci dall’unire idee ed azioni. In un momento di totale perdita di fiducia, abbiamo bisogno di decreti che ci permettano di recuperare la fiducia generalizzata che i governi stanno facendo del loro meglio per accettare ed aggiudicarsi le sfide in essere. Il rischio di non fare nulla è tanto grande quanto il rischio di fare troppo. 1[1] Definizione dal dizionario finanziario: An international trade policy of competitive devaluations and increased protective barriers that one country institutes to gain at the expense of its trading partners – Una politica commerciale internazionale che consta di svalutazioni competitive e aumentate barriere protezionistiche che un paese istituisce per guadagnare a scapito dei suoi partner commerciali. La crisi di oggi I leader mondiali si incontreranno questa settimana a Londra in un mondo che non sarebbe risultato estraneo a Keynes. Le ultime stime relative alla crescita economica globale da parte di World Bank, pubblicate oggi, anticipano una contrazione dell’1,7 percento rispetto alla crescita economica dell’ultimo anno, pari all’1,9 percento. Si tratta probabilmente del primo declino dell’economia mondiale dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Ci troveremo anche ad affrontare un crollo del 6 percento nel volume delle attività commerciali mondiali a livello di beni e servizi, il peggior crollo degli ultimi 80 anni. Quella che nel 2007 era cominciata come crisi finanziaria, si è velocemente trasformata in una crisi economica. Oggi è la crisi degli impieghi. Abbiamo previsto un pesante rallentamento della crescita economica nei paesi in via di sviluppo quest’anno, dell’ordine del 2,1 percento. Ci aspettiamo crolli effettivi in Europa Centrale ed Orientale, Asia Centrale, America Latina e Caraibi. Nel corso dell’attuale crisi, I paesi in via di sviluppo sono flagellati da ondate successive. Trattasi di onde che dipendono dalla pesante contrazione della crescita economica e dalla stretta del credito nei paesi industrializzati. Proprio come lo sviluppo dell’economia globale un tempo permise di affrancare dalla povertà centinaia di milioni di persone, oggi c’è il rischio di uno sviluppo al contrario, visto che il nostro mondo perfettamente interconnesso potrebbe trasmettere shock negativi con maggiore potenza e velocità. I flussi di capitale privati verso I paesi in via di sviluppo stanno pesantemente stagnando, con gli inflow scesi nel 2009 di circa un terzo dal picco pari a 1,2 triiliardi raggiunto due anni fa. I pagamenti ed i trasferimenti di fondi sono in caduta libera, con un crollo pari ad almeno il 5 percento delle previsioni per il 2009. Inoltre alcune azioni intraprese nei paesi industrializzati, anche se comprensibili, stanno rendendo durissima la vita per i paesi in via di sviluppo. Visto che i governi dei paesi industrializzati emettono considerevoli volumi di debito garantito, stanno accumulando finanziamenti per I paesi in via di sviluppo in buona salute. I paesi in via di sviluppo, anche quelli con deficit modesti, da un lato non sono in grado assolutamente di accendere prestiti oppure dall’altro devono sostenere spread eccessivi. Riteniamo che 84 dei 109 paesi in via di sviluppo che abbiamo analizzato si troveranno a fronteggiare mancanze di finanziamenti variabili, dai $270 ai $700 miliardi nel corso dell’anno. Le due questioni principali senza risposta riflesse da questo ampio range sono da un lato quale percentuale del debito privato sarà rinnovato e quale sarà la fuga di capitale. Al tempo stesso, il crollo della domanda sta penalizzando la produzione industriale ed il declino dei prezzi delle commodity sta generando una contrazione della posizione fiscale di molte economie che dipendono dalle esportazioni. Solo un quarto dei paesi in via di sviluppo possono permettersi di finanziare programmi che tentino di rimediare alle conseguenze del downturn. Tali eventi potrebbero in seguito trasformarsi in una crisi umanitaria e sociale con implicazioni politiche. L’attenzione è essenzialmente focalizzata sui paesi industrializzati in cui i residenti devono affrontare la perdita di abitazioni, proprietà, beni e lavoro. Sono difficoltà reali. Ma coloro che abitano nei paesi in via di sviluppo hanno meno tamponi, risparmi, nessuna assicurazioni, sussidi per la disoccupazione e spesso nemmeno prodotti alimentari. Riteniamo che addirittura 53 milioni di persone supereranno la soglia della povertà quest’ann o, trovandosi a sopravvivere con meno di $1,25 al giorno a causa della crisi. E questo si aggiunge all’aumento dei prezzi dei generi alimentati e del carburante degli ultimi anni che hanno spinto da 130 a 155 milioni di persone a livello di estrema povertà, molti dei quali non si sono ancora ripresi.. Il mondo stava già faticando per raggiungere gli otto Obiettivi di Sviluppo del Millennio entro il 2015. Ora tali obiettivi sono più che mai diventati un miraggio. Prendiamo la mortalità infantile, uno dei problemi più gravi che affligge i paesi in via di sviluppo: riteniamo che altri 200.000/400.000 neonati moriranno quest’anno a causa del crollo della crescita economica. Nel mondo Viviamo in un mondo interconnesso, ma la crisi ha colpito in maniera differenziata. • I paesi nell’Europa centrale ed orientale potrebbero essere quelli più a rischio, anche se i loro livelli di reddito sono superiori a quelli di altri stati. Dalla fine della Guerra Fredda, le strategie di crescita nella regione hanno cercato di sfruttare l’integrazione con l’Unione Europea e l’e conomia globale attraverso commercio, investimenti, movimenti di persone e trasferimento di fondi. La cancellazione di queste attività però colpirà in maniera pesantissima. Inoltre visto che molti paesi hanno lavorato per entrare a far parte della zona Euro, hanno acceso prestiti interni in Euro o Franchi svizzeri, aumentando così il rischio di default nel caso di crollo del valore delle loro valute locali. La maggior parte della banche dell’Europa Centrale ed Orientale sono di proprietà dei vicini occidentali, aumentando il rischio di ritiro e cancellazione del supporto previsto. Perdite di finanziamento ad Est, a loro volta, potrebbero mettere a ferro e fuoco la situazione delle banche in tutta l’Europa. Naturalmente è bene fare una differenza tra paesi. Ma la logica di integrazione europea - uno dei risultati economici e politici di maggiore successo degli ultimi 60 anni – suggerisce che l’Europa nel suo insieme sarà più grande e forte della singola somma dei suoi membri solo se i paesi Europei si so sterranno l’un altro. Allo stesso modo, come dimostrato dalla storia, gli stati dell’Europa Centrale e Orientale hanno cercato di distinguere le loro necessità da quelle dei loro vicini, solo per scoprire che la debolezza di uno genera pericoli per tutti. Ancora più ad Est, la crisi economica dell’Ucraina mette alla prova la coerenza politica, se non addirittura la sostenibilità. I cartelloni vuoti a Kiev rappresentano una metafora della scomparsa delle direttive. Mentre meno di tre mesi fa, i consumatori venivano invitati a spendere di più, ora un terzo dei cartelloni pubblicitari sono vuoti, rimangono solo cartone e metallo, una chiara indicazione della seduzione bei tempi andati. • In Asia Centrale, le economie povere stanno ricominciando ad aprire la vecchia “via della seta� dopo secoli di isolamento per affrontare le prospettive precarie. Nel corso dell’ultimo anno, i contributi da parte della manodopera migrante hanno rappresentato il 43% del PIL del Tajikistan ed il 28 percento della Repubblica Kazaca. Ma i rallentamenti in Russia e Kazakhstan riporteranno questa manodopera itinerante a casa. Nel Kazakhstan, il governo ha previsto che il tasso di disoccupazione raddoppierà assestandosi al 12 percento entro la fine dell’anno. Almaty, una c ittà un tempo ricca grazie al reddito generato dal boom del greggio, ora è costellata da costruzioni non finite, gru abbandonate e edifici fantasma senza occupanti – un monumento inatteso alle aspettative irrealizzate. • L’America Latina, con fondamentali fiscali, valutari e finanziari più solidi rispetto al passato, sta pagando lo scotto della crisi essenzialmente a livello di commercio ed economia reale. Mentre i pericoli per i paesi industrializzati si sono sviluppati a livello finanziario con successiva diffusione alla produzione ed ai servizi, la crisi nei paesi industrializzati ha colpito sin da subito il settore produttivo per poi probabilmente estendersi anche alle banche che concedono prestiti alle aziende. Il Messico e l’America Centrale sono stati colpiti a causa del crollo della domanda americana e dalle relative insolvenze. Il crollo invece dei prezzi delle commodity sta colpendo il Brasile. Anche se il considerevole mercato interno ha fornito un ancora di salvataggio, il Brasile si contrarrà in maniera sempre più evidente e considerevole con il costante crollo del commercio. Paesi come il Cile ed il Perù hanno sfruttato gli anni di vacche grasse per migliorare le loro posizioni finanziarie e le loro riserve, offrendo un certo comfort, ma in questa spirale al ribasso rimarranno intrappolati comunque in una pesante e profonda recessione. Le vulnerabili economie dei Caraibi stanno soffrendo a causa della crisi del turismo. • La crisi finanziaria ha pesantemente colpito il Sud Est Asiatico e la sua già limitata capacità di manovra. L’India ha perso $45 miliardi di riserve a causa delle fuoriuscite di capitali, il tasso di cambio si è svalutato di oltre il 20 percento, ed i prezzi delle azioni sono crollati del 50 percento. Anche i costi sociali sono in aumento. Il governo indiano ha stimato perdite dell’ordine di 500.000 posti di lavoro nel settore formale tra ottobre e dicembre dello scorso anno. In Bangladesh nel corso dell’ultimo mese, oltre 4.000 lavoratori sono tornati a casa grazie ad un programm a dell’IMF mentre il nuovo governo deve districarsi tra gruppi violenti e conflitti costituzionali. • L’Asia Orientale è stata colpita attraverso i suoi collegamenti con i paesi industrializzati a livello di global sourcing e supply chain. I paesi più piccoli e più poveri, come la Cambogia , sono particolarmente esposti alle conseguenze dei settori e mercati chiave. La Cambogia ha perso circa 50.000 posti di lavoro nell’industria dell’abbigliamento, la sola sua industria significativa a livello di esportazioni. Le donne giovani, che occupano per la maggior parte i posti di lavoro nel settore abbigliamento, sono maggiormente esposte ai rischi della crisi. Le famiglie nomadi, che costituiscono anche oggi un terzo della popolazione della Mongolia, hanno assistito ad un crollo del 40 percento del prezzo del cashmere, il prodotto che rappresenta la loro maggiore fonte di reddito. Le più importanti economie dell’Asia Orientale stanno affrontando pesanti cambiamenti. In Cina, circa 20 milioni di lavoratori itineranti hanno perso il loro posto di lavoro nell’industria manifatturiera ed edile. Alcuni stanno ritornando nei loro paesi natali all’intero, ma concentrandosi nelle città invece di tornare alle loro abitazioni rurali. La Cina ha lanciato un importante piano di stimoli ma anche così prevediamo un rallentamento della crescita dal 9 percento del 2008 al 6,5 percento quest’anno . • L’Africa, anche se ha un ruolo marginale nel processo di globalizzazione dei mercati, commercio ed investimenti, non è stata risparmiata dalla crisi mondiale. Un funzionario della Repubblica Democratica del Congo ha avvertito che potrebbero esserci altri 350.000 disoccupati nella provincia del Katanga man mano che la industrie minerarie ridurranno le loro attività. Con il crollo del prezzo dei diamanti, la Repubblica dell’Africa Centrale prevede un taglio del 50 percentuale dei redditi rispetto al 2008. I trasferimenti di fondi si stanno esaurendo in Kenya. E con il reddito sostenuto solo dal turismo che con tutta probabilità subirà le conseguenze della crisi, sono buie le prospettive per paesi come le Seychelles, in cui il turismo, la fonte principale di impiego e cambio estero, dovrebbe contrarsi del 25 percento solo nel 2009. • Ad oggi sono i paesi del Medio Oriente e Nord Africa ad essere stati almeno parzialmente risparmiati dal crunch del credito. Ma il Maghreb potrebbe perdere turismo e mercati di esportazione in Europa. I paesi che dipendono dai lavoratori itineranti dovrebbero cominciare a chiedersi come gestire la riduzione delle entrate ed il rientro in patria della manodopera disoccupata. Anche i produttori di energia si trovano a dover affrontare pesanti incertezze visto che cercano di raccogliere la sfida di collegare giovani disoccupati, scuole e produzione in un ambiente in cui le opportunità di impiego nel settore privato con tutta probabilità saranno ridotte ed i prezzi delle commodity rimarranno volatili. Sono anche possibili problemi a livello transnazionale. Stiamo infatti già assistendo agli effetti della crisi su donne e ragazze. Durante una crisi sono le donne a subirne sproporzionatamente le conseguenze. Quando le famiglie si trovano a dover tirare la cinghia, le ragazze sono le prime a dover lasciare la scuola. E quando qualcuno deve saltare il pasto, solitamente sono le donne a soffrire di malnutrizione. Innovazione ed Azione Malgrado alcune delle condizioni economiche sembrino essere una copia del passato, non siamo negli anni 30. Le Banche Centrali hanno fornito ampia liquidità ed alcune si sono fatte avanti con modalità creative di sostegno al credito. I paesi industrializzati hanno agito molto più velocemente di quanto non sia successo ai tempi di Keynes per sostenere la domanda con pacchetti di stimoli. I supervisori delle istituzioni finanziarie hanno cercato di prestare la massima attenzione ai rischi sistematici di collassi che avrebbero rischiato di bloccare gli investitori per la paura. Le istituzioni finanziarie multilaterali create con Bretton Woods si sono fatte avanti per aiutare i paesi in difficoltà o per cercare di risolvere la crisi. Ad oggi non abbiamo assistito ad un inversione delle vendite all’ingrosso verso il protezionismo come invece successe negli anni 30. Ma il 2009 sarà un anno difficile. Non è certo il momento della compiacenza. Non è più il momento per esprimere falsa fiducia sostenendo che è stato fatto tutto quello che si poteva fare. Non è il momento per limitarsi a risposte nazionalistiche o regionalizzate. La sola certezza che possiamo desumere dagli eventi che si sono susseguiti nel corso dell’ultimo anno è la nostra incapacità di prevedere cosa succederà, e cosa potrebbe scatenare altri eventi inattesi. Per accettare le sfide future è necessario uno spirito di innovazione sostenuto da azioni. Oggi più che mai abbiamo bisogno di essere veloci e flessibili. Abbiamo bisogno di trovare una soluzione ai problemi, sfruttare risorse e capacità di molteplici partner – governi, istituzioni internazionali, società civile e settore privato. Possiamo operare quale catalizzatore per forgiare queste nuove partnership. Il mese scorso Bank Group ha unito le sue forze con European Bank for Reconstruction and Development (EBRD) e European Investment Bank (EIB) a sostegno dei settori bancari in Europa Centrale e Orientale, con un pacchetto di finanziamenti dell’ordine di €24,5 miliardi. Il settore bancario privato, IFC e Japan Bank for International Cooperation hanno contribuito con $3 miliardi al Fondo di Capitalizzazione per aiutare il rafforzamento delle banche su piccoli mercati emergenti, e per mantenere il flusso del credito verso piccole aziende ed individui. IFC si è unito a KfW, l’agenzia di sviluppo tedesca, per creare un fondo rotativo con liquidità pari a $500 milioni a sostegno di istituzioni che operano nel settore micro finanziario, perché sono gli imprenditori e le piccole imprese ad offrire una maggiore sicurezza in tempo di crisi: nuovi posti di lavoro. Stiamo valutando proprio in questo momento gli effetti della recessione globale sulle aziende nei paesi in via di sviluppo e considerando come potremmo intervenire per mobilitare il capitale privato per sostenere la ristrutturazione di aziende e gestire asset eccessivamente sollecitati. Oggi il Consiglio di World Bank Group sta considerando una nuova proposta: il lancio di un nuovo Global Trade Liquidity Program (Programma di Liquidità Commerciale Globale) di $50 miliardi. Il pesante crollo del commercio è stato esacerbato dalla mancanza di finanze commerciali. Come aiuto, prima di tutto abbiamo sostenuto la copertura a garanzia del credito commerciale per $3 miliardi presso le banche dei paesi in via di sviluppo, molte delle quali in Africa. Ma abbiamo imparato che le garanzie non sono sufficienti, perché questi molteplici prestatori non sono in grado di ottenere finanziamenti in valuta. Il nostro Global Trade Liquidity Program contribuirà con un investimento proprio dell’ordine di $1 miliardo con finanziamenti da parte dei governi e delle banche per lo sviluppo regionale. Questi finanziamenti pubblici sono stati ottenuti attraverso accordi di condivisione dei rischi con i maggiori partner nel settore privato, ad esempio Standard Chartered, Standard Bank, e Rabobank. In un secondo tempo i crediti commerciali potranno essere riciclati, alla conclusione del periodo di paid-off dei prestiti. In collaborazione con il WTO, stiamo cercando di ottenere risorse ed esperienze dalle agenzie di credito nazionale alle esportazioni. Spero che i leader del G-20 approveranno tale iniziativa a favore della liquidità commerciale. Il supporto del G-20 ci permetterà di essere più dinamici, in modo da poter cercare di raggiungere l’obiettivo fissato dal primo Ministro Brown. Una richiesta al G-20: Far funzionare il multilateralismo Diversamente rispetto alle crisi degli ultimi sessant’anni, quella di oggi è una crisi globale. Per questo richiede una soluzione globale. Viviamo in un’economia globale sostenuta da individui privati, aziende, sindacati e governi nazionali. Commerciano, investono, lavorano, inventano, contrattano e costruiscono fuori e dentro gli stati, che stabiliscano le regole ed a volte accettano di essere vincolati da termini e procedure negoziate. Il G-20 non cambierà questa realtà del sistema internazionale. Ma un multilateralismo più forte potrebbe aumentare i vantaggi e stemperare i rischi al ribasso dell’interdipendenza economica. Attualmente è particolarmente di moda parlare di nuove istituzioni e di nuovi forum di governante globale. Forse dovremmo cominciare a riformare e rendere più potenti le istituzioni di cui disponiamo già. Il WTO, FMI, World Bank Group e le Banche per lo sviluppo regionale – insieme alle agenzie ONU hanno un ruolo fondamentale. Con oltre 180 membri ed altre riforme per alzare la voce e maggiore potere decisionale dei paesi e delle economie in via di sviluppo, queste istituzioni potrebbero colmare il divario tra nazioni stato ed interdipendenza economica correlando gli interessi nazionali, regionali e globali. Se i leader fossero seri per quanto riguarda la creazione di nuove responsabilità o governance globale, cominciamo a chiedere un ammodernamento del multilateralismo per permettere a WTO, a FMI, a World Bank Group e ad altri di monitorare i prezzi nazionali. Con maggiore chiarezza a livello del processo decisionale nazionale potrebbe contribuire a trasparenza, responsabilità e coerenza tra le politiche nazionali. Come prima fase il G-20 dovrebbe sostenere un sistema di monitoraggio WTO per far progredire il commercio e resistere all’isolamento economico, cooperando per completare i negoziati di Doha per aprire i mercati, tagliare i sussidi e resistere alle ricadute. Abbiamo già assistito ad uno strisciante protezionismo - misure adottate a scapito di altri paesi. “Compra questo�, “Compra quello�, “lavo ri per i lavoratori� o “nessun visto per voi�. Nel corso del 2009, e con l'aumento della disoccupazione, i leader nazionali aumenteranno sempre più le pressioni per spostare il problema verso altri. Uno studio di World Bank ha già dimostrato che 17 dei paesi del G-20 hanno implementato misure che limiteranno il commercio visto che le loro promesse pubbliche hanno negato il protezionismo a novembre. Nessuno vuole che violazioni isolate diventino la regola – erodendo uno dei più importanti baluardi tra questa crisi e gli anni 30. Permettere al WTO, con il supporto di World Bank, di identificare azioni che potrebbero limitare il commercio internazionale anche se non viola formalmente le regole del WTO. Se i paesi del G-20 sono convinti che sia necessaria una maggiore governance globale, dovrebbero accettare la “persuasione morale� di revisioni globali che “identificano ed umiliano.� In secondo luogo molti paesi hanno approvato oggi nuovi pacchetti di stimoli. Si tratta di pacchetti che dovranno essere efficaci nel controllare i peggiori impatti della crisi. Ma nessuno è in grado di garantire se offriranno stimoli sufficienti per un lasso di tempo utile. Ci sono stati dibattiti legittimi sulla composizione dei pacchetti e su come debbano essere implementati. L’FMI ha suggerito un pacchetto di stimoli globali pari al 2 percento del PIL. Stima infatti che la azioni adottate fino ad ora rappresentino solo l'1,8 percento del PIL stesso per il 2009. C 'é infatti il pericolo di un ritiro degli stimoli globali nel 2010. Il G-20 dovrebbe istituzionalizzare un ruolo di monitoraggio da parte del FMI, rivedere l’esecuzione di questi pacchetti di stimoli e valutare i risultati, prevedendo nuove azioni se necessario. Un certo numero di leader ha dichiarato che il FMI dovrebbe avere un ruolo di "Campanello d'allarme) nel run-up verso la crisi – e se così fosse sarebbe ragionevole chiedere al FMI di valutare quello che stiamo facendo per risolvere questa crisi. In terzo luogo è essenziale che i governi si liberino degli asset tossici e che ricapitalizzino i loro sistemi bancari. Le conseguenze economiche sostenute dagli stimoli fiscali non sapranno auto-sostenentesi senza un sistema bancario solido. Ai tempi di Keynes, i governi permisero al sistema bancario globale di distruggersi dopo il fallimento di Creditanstalt in Austria. Oggi le banche centrali ed i Ministri delle finanze stanno cercando di stabilizzare il sistema. Ma la fiducia rimane bassa. Nuovi investitori saranno sempre meno intenzionati a rischiare capitale privato fino a quando le perdite non saranno riconosciute in maniera trasparente e non sarà chiarito una volta per tutte il futuro della banche. I recuperi con tutta probabilità non cominceranno nel settore finanziario, ma gli operatori saranno frustrati senza credito. Le politiche che prevedono l’allocazione dei fondi dei governi per ricapitalizzare le banche non sono facili da implementare. Alla gente non piacciono. I banchieri, soprattutto quando devono essere salvate. Ma i leader devono capire che è importante spiegare alla gente che Wall Street o la City in buona salute son necessarie per una quinta strada scoppiettante e sana. Il G-20 dovrebbe chiedere al FMI ed a World Bank Group di monitorare azioni e risultati a livello di settore bancario. Abbiamo già operato insieme nei paesi in via di sviluppo attraverso il Financial Sector Assessment Program (FSAP). Potremmo garantire il necessario feedback anche ai paesi industrializzati con risultati, considerati in maniera seria e seguite. In quarto luogo, anche se riuscissimo ad evitare gli errori passati, i leader del G-20 dovrebbero correttamente aspettarsi una revisione del sistema di norme e supervisione a livello finanziario. Oggi l’autorità a livello di normative rimane nelle mani dei governi nazionali. Ma è necessaria una migliore e più profonda cooperazione internazionale. Il Financial Stability Forum, abilmente presieduto da Mario Draghi della Banca d’Italia ha cominciato a colmare tale divario. Con una partecipazione più allargata , il FSF potrebbe diventare un’istituzione decisamente importante in un sistema multilaterale più solido, che operi con FMI e World Bank Group a livello di implementazione. Il Futuro: i paesi in via di sviluppo devono avere un ruolo nella soluzione. C’é una quinta dimensione mancante nelle nostre risposte alla crisi globale: i paesi in via di sviluppo. A Londra, Washington e Parigi si parla di bonus o mancata corresponsione degli stessi. In Africa, Sud-est asiatico ed America Latina, la lotta è invece per il cibo. I paesi in via di sviluppo e la gente sono pesantemente minacciati dall’attuale crisi. Ma possono anche avere un ruolo chiave nella soluzione. Ecco perché ho chiesto alle nazioni industrializzate di investire lo 0,7 percento – nemmeno l’un percento - dei loro pacchetti di stimoli in un Vulnerability Fund – Fondo di Vulnerabilità – per aiutare i paesi in via di sviluppo. L’idea è quella di sfruttare gli esistenti meccanismi multilaterali - e non di creare una nuova burocrazia - per sostenere programmi di salvataggio, infrastrutture e finanziamenti per piccole e medie imprese. I donatori potranno sfruttare le rapide strutture di finanziamento di World Bank Group, delle agenzie dell’ONU o delle Banche di sviluppo regionali. La Germania , il Giappone e la Gran Bretagna hanno già pagato il loro contributo. Aspetto con ansia che altri paesi accettino di partecipare. Nel corso della crisi del debito in America Latina degli anni 80 e della crisi asiatica alla fine degli anni 90 i governi hanno tagliato le loro sovvenzioni ed i programmi sociali - danneggiando i poveri soprattutto, con conseguente malcontento sociale, depravazione ed anche violenza. Il G-20 dovrebbe imparare da questi errori. I trasferimenti sociali sono stati efficaci sia nello stimolare la spesa sia nel proteggere i poveri dai peggiori effetti della crisi. I trasferimenti condizionali di contanti ed i programmi di nutrizione dei bambini in età scolare possono essere mirati ed efficaci ad un costo relativamente basso, anche con meno dell’un percento del PIL di ogni singolo paese. Programmi di successo come Oportunidades in Messico o Bolsa Familia in Brasile non superano un costo pari allo 0,4 percento del PIL, mentre il programma di salvataggio dell’Etiopia, Productive Safety Net, costa circa 1,7 percento del PIL. I più importanti paesi del G-20 stanno chiedendo l’istituzionalizzazione di un sistema che segnali precocemente i pericoli finanziari, l’istituzionalizzazione delle nuove strutture normative finanziare e l’istituzionalizzazione di maggiori risorse a disposizione dell’FMI per interventi di maggiore portata. Non è forse il tempo per istituzionalizzare sistemi di avvertenza precoce per i poveri? Non è forse il momento per istituzionalizzare il supporto per i più vulnerabili durante crisi, soprattutto per coloro che non hanno nulla? Un impegno ad istituire strutture per sostenere e finanziare reti di salvataggio per coloro che sono maggiormente a rischio richiederà ancora molta strada da percorrere per dimostrare che questo gruppo G si assuma il ruolo di salvatore del mondo – con summit per sistemi finanziari e silenzio per i poveri. Abbiamo bisogno di investire in progetti infrastrutturali che possano creare lavori costruendo al tempo stesso le fondamenta per la futura produttività e crescita. Nel corso della crisi del 1997-98, gli investimenti cinesi in strade, porti, aeroporti, energia e telecomunicazioni riuscirono a sostenere l’occupazione alimentando al tempo stesso la crescita per i decenni futuri. Con il supporto finanziario ed una buona governance, altri paesi possono fare lo stesso, creare la capacità produttiva per ripagare i prestiti. E nel farlo, i paesi in via di sviluppo sosteranno lo sviluppo della domanda globale, compresi i beni e servizi di capitali dai paesi industrializzati. Naturalmente gli investimenti a livello di infrastrutture nei paesi in via di sviluppo probabilmente potenzialmente sostengono maggiormente la produttività e la crescita rispetto a “ponti verso il nulla" nelle economie industrializzate. Nel corso degli ultimi venticinque anni, 25 paesi dell’Africa sub-sahariana, che rappresentano circa i due terzi della popolazione, sono cresciuti in media del 6,6 percento. Questo rappresenta indubbiamente un’opportunità. Ma la mancanza di infrastrutture ha creato un significativo collo di bottiglia, minando la produttività delle aziende per circa il 40 percento. L’integrazione regionale ne ha subito le conseguenze. Con migliori infrastrutture stiamo che la crescita in Africa potrebbe aumentare del 2,2 percento. Lo stesso dicasi per l’agricoltura: gli investimenti a sostegno della produttività dell’agricoltura africana in tutta la catena di valori – diritti di proprietà, fornitura di semi e fertilizzanti, irrigazione, strade e stoccaggio, commercializzazione – potrebbero aiutare i piccoli agricoltori ad interrompere il ciclo della povertà. E’ tempo di riconoscere che una globalizzazione inclusiva e sostenibile dipenda dall'incoraggiamento di poli di crescita variegati, compresi i paesi in via di sviluppo? Se i paesi in via di sviluppo saranno coinvolti nella soluzione, dovranno poter partecipare alle discussioni. Il G7 non è riuscito ad allagarsi in tempo utile per soddisfare tutte le realtà economiche internazionali. Ora il G- 20 ha la sua chance. Ma alcuni dei 20 al tavolo della discussione non considera ancora i 160 paesi rimanenti. Le istituzioni multilaterali – con una partecipazione decisamente più ampia – potrebbero aiutare a collegare il G-20 con il resto del mondo. Ma non è facile per gruppi così ampi condividere le responsabilità e generare un obiettivo coeso comune. Nel G-20 abbiamo già assistito alla comparsa di diversi blocchi: l’EU che si organizza su una posizione comune per i suoi otto partecipanti. Il BRICS di Brasile, Russia, India e Cina si coordina con dichiarazioni comuni. Questo sviluppo potrebbe essere atteso naturalmente, ma sarebbe un peccato se il nuovo Gruppo G più ampio creasse nuove linee di divisione tra paesi industrializzati e paesi in via di sviluppo. Invcce gli Stati Uniti, il paese industrializzato più importante, e per la Cina , il paese in via di sviluppo di maggiori proporzioni, dovrebbe trovare una base comune.. La Cina e gli Stati Uniti hanno approvato due dei maggiori pacchetti di stimoli. Ma gli stimoli americani si fondano pesantemente sul supporto ai consumi mentre la Cina cerca di investire per creare maggiore capacità. Nel tempo tale squilibrio è insostenibile. I due paesi dovranno cooperare per un riaggiustamento reciproco man mano che si riprendono dalla crisi, aumentando i risparmi attraverso la disciplina fiscale ed a livello di spesa negli Stati Uniti ed aumentando i consumi, i servizi per il pubblico e le opportunità per le piccole aziende in Cina. I loro interessi nazionali dovranno essere combinati per rafforzare l’interesse comune sistemico. Un G-2 forte all’interno di un G-20 che vada al di là delle linee di sviluppo, potrebbe rappresentare una pietra miliare per il nuovo multilateralismo – un multilateralismo che riconosce le realtà di un nuovo sistema internazionale, e non un sistema fatto di stati nazione, ma paesi collegati attraverso una profonda interdipendenza economica. Il moderno multilateralismo richiederà un aumento dei poteri economici per permettere a istituzioni quali World Bank e FMI possano operare. E’ doveroso ed inevitabile. Il mondo è cambiato radicalmen te da quando Keynes partecipò alla conferenza di Bretton Woods nel 1944. Dobbiamo cambiare di conseguenza. Recentemente il Consiglio dei Governatori di World Bank ha iniziato l’anno con la prima fase di riforme per aumentare la sua influenza nei paesi in via di sviluppo ma dobbiamo andare oltre per riequilibrare le azioni che danno diritto di voto e gli incarichi nei consigli di amministrazione. Questi cambiamenti richiederanno che sia l’Europa sia gli Stati Uniti riconsiderino le loro vecchie prerogative e controlli. Come farlo, spetta al governi deciderlo. Ma vorrei che cominciassero a guardare lontano senza pregiudizi. I nuovi azionisti devono avere oggi più che mai la consapevolezza che i diritti vanno di pari passo con le responsabilità, compreso il supporto e l’assistenza allo sviluppo. Il riconoscimento di questi nuovi poteri non deve andare a scapito dei meno potenti. Riforme sono più che mai necessarie. Ed è per questo motivo che ho chiesto all'ex presidente del Zedillo del Messico di presiedere una High Level Commission a livello della World Bank Group Governance per proporre le sue raccomandazioni che spero potranno essere utili per le delibere degli azionisti. La sfida da raccogliere Abbiamo capito come negli ultimi sessant’anni i mercati abbiano permesso l’affrancamento di centinaia di persone dalla povertà aumentando la libertà. Ma abbiamo anche facilmente compreso come la bramosia sfrenata e la sconsideratezza possano annullare tali passi avanti. Nel ventunesimo secolo, abbiamo bisogno di commercializzare economie con volto umano. Le economie di mercato umane devono riconoscere la loro responsabilità nei confronti degli individui e della società. Quando Keynes tenne il suo ultimo discorso in occasione della conferenza di Bretton Woods, il mondo era ancora in guerra. Nel grande schema delle cose, le novità correlata con l'istituzione di alcune istituzioni oscure non sembrava così significativo, anche se sarebbero poi diventate pietre miliardi nell'architettura post-guerra. Il prossimo incontro del G-20 riunirà i più importanti leader mondiali. La loro azione di cooperazione è imprescindibile. I leader dovranno riformare, costruire, sfruttare ed impiegare le istituzioni multilaterali che hanno ereditato. Se il G-20 operasse in qualità di comitato direttivo, le istituzioni multilaterali potrebbero aiutare i grandi della terra a risolvere la loro crisi con idee ed azioni pratiche. Cogliendo l’opportunità rappresentata dalla crisi di oggi, riusciremo a reiterare le parole di Keynes nel suo commento conclusivo: "Se continueremo con un grande compito, proprio come ci siamo impegnati per questo compito di poco conto, c'é ancora speranza per il mondo.�